La letteratura produce energia. Intervista a Mirko Zilahy – L’uomo del bosco.

Da pochi giorni nelle librerie con la sua più recente fatica letteraria, L’uomo del bosco, Longanesi, Mirko Zilahy ha cortesemente accettato di rispondere a qualche nostra domanda.

Ho trovato molto interessante l’affermazione che scienza e letteratura condividono lo stesso punto di partenza: il dubbio. Entrambe in qualche modo seguono quindi il metodo scientifico partendo dal Perché? Quindi si pongono delle domande, provano a dare risposte ma,
a un certo punto mentre la scienza potrebbe doversi fermare e ripartire, la letteratura può continuare, o sbaglio?

Scienza e Letteratura hanno lo stesso obiettivo, anzi lo stesso oggetto: il mistero. Con un atteggiamento diverso, ovviamente. Le scienze si muovono come si muoverebbe Mancini, o il commissario Trivelli: si costruiscono per svelare il funzionamento, il perché, il cosa, il come e il quando. La Letteratura invece di svelare, di togliere il velo, ri-vela, ricopre le tenebre con un velo più scuro, ulteriore. Ambiguo.

Sempre a questo riguardo nei ringraziamenti dici che la verità in letteratura non esiste e che quello che la scienza non ha ancora scoperto la letteratura lo ha già rivelato…
L’immaginazione viene prima della realtà, delle cose. Non è dalla luce che principia l’universo, ma dalla voce che dal fondo delle tenebre esclama: “Fiat lux”. L’energia dell’universo nasce dalla voce, e ci abita tutti, come esseri umani e come lettori. L’unico dovere che abbiamo è di ritrovare la nostra voce, quella che abbiamo nascosto in qualche posto in fondo al cuore, dentro una stanzetta buia, uno scantinato, una soffitta. È lì che si trova l’unica verità, l’unico mistero che vale la pena di indagare senza paura.

I grandi scrittori sono anche dei grandi visionari? Tu citi più volte Jules Verne, citando il capitolo XXVII di Viaggio al centro della terra …
I grandi scrittori e i grandi scienziati sono sempre grandi visionari. Nel 1500 Leonardo ha immaginato un ornitottero e oggi si viaggia su ali d’acciaio capaci di sollevarci a chilometri dal suolo terrestre. Prima di lui c’era il mito di Icaro. Verne mi ha aiutato a credere di poter scrivere un romanzo d’avventura e atmosfera nel 2021 come se fossimo ancora nell’Ottocento, con la stessa sospensione d’incredulità di allora malgrado gli enormi progressi scientifici fatti nel frattempo.

La letteratura ha obblighi o limiti?
Nessuno. La Letteratura è il suo effetto, è slegata da obblighi e pastoie morali, sociali, ideologiche e deve rendere conto sollo a se stessa. La letteratura non ha messaggi da consegnare ma energie e paure e dolori da smuovere.

Qual è stato il perché da cui è partito L’uomo del bosco?
Di fronte a un’immagine sul libro di Scienze di mia figlia (fa la 4° elementare) che raffigurava il nostro pianeta aperto come un’arancia e diviso per strati e per colori dalla crosta terrestre fino al nucleo. L’idea di giocare con i dubbi della scienza e non con le sue certezze perché, di fatto, non conosciamo nulla della profondità del nostro pianeta in maniera diretta. Nessuno ha guardato nel cuore pulsante della Terra, nessuno ha scavato per più di 15 chilometri di profondità, quando il nucleo si trova a circa 6400 chilometri dalla superficie. Insomma il fatto che si sappia ben più di stelle e pianeti lontani milioni di anni luce che del nostro solido pianeta su cui fondiamo e immaginiamo la nostra esistenza, la nostra storia, mi ha dato il via.


Civita è stata tra le ispirazioni o solo la località ideale per raccontare questa storia?
Avevo bisogno di un luogo da cui partire per raccontare la ricerca del Mistero in sé e Civita di Bagnoregio, la città che muore, è stato il mio colpo di fulmine! La valle dei Calanchi è come il Gran Canyon e il borgo in cima alla rocca un piccolo castello favoloso.

Ho avuto l’impressione che l’uomo del bosco sia costruito sul doppio, per usare un ossimoro direi due uguali diversi: una compenetrazione di opposti: terra e psiche, fisica e metafisica, corpo e anima. In cui uno è parte essenziale dell’altro. In fondo, anche Glynn che è uno scienziato che scava nelle profondità della terra, ha una moglie psicoterapeuta che scava nelle profondità dell’animo umano.
Assolutamente sì. Il romanzo è costruito su coppie antitetiche di temi e di valori, di conflitti macro e microscopici, geologici e psicologici. Sull’infinitamente alto e sul profondo. Sulla discesa e sugli sguardi che lanciamo al cielo in cerca di risposte. Tra questi due vettori, scalare e scavare, sta l’essenza stessa del romanzo, del mondo immaginario de L’uomo del bosco.

La prima parte del libro è quella che mi pare più “fisica” non solo per le teorie esposte da Glynn ma anche perché hai fatto ampio uso di colori che ricordano elementi naturali (cobalto, acquamarina, sabbia), di similitudini con animali e di aventi atmosferici come nebbia e vento. La seconda parte invece è più cupa, scura, buia e intima. È così?
Ho cercato di raccontare questa storia con la lingua delle gemme, dei minerali e della Terra la discesa tra le ombre della nostra coscienza e del pianeta. Ma tutto il romanzo è un continuo contrappunto cromatico e, come sottolinei tu, atmosferico. In questo sono molto “argentiano”, amo costruire lo scenario a partire dalla qualità dell’aria, dell’acqua, degli elementi atmosferici e seguirne le variazioni lungo la narrazione.

John Glynn e il commissario Trivelli, i due protagonisti sono un altro esempio di doppio. Entrambi scavano, indagano in cerca di verità e di risposte.
Sono due uomini innamorati della profondità. John è un geologo, studia i meandri del pianeta ma li tiene a distanza di sicurezza dato che ha perso suo padre trent’anni prima nell’esplosione di una miniera in Belgio. Il commissario Trivelli è un animale sotterraneo, un commissario di polizia penitenziaria che scivola in silenzio tra gabbie e corridoi del carcere di Viterbo, il Mammagialla, in cerca delle anime più dolenti che lo abitano. È un uomo capace di leggere negli occhi i detenuti che considera la sua vera famiglia, dato che quella reale lo ha abbandonato.

Un’altra frase che mi ha colpito è: noi siamo ciò che ricordiamo ma soprattutto ciò che dimentichiamo. Il nostro cervello è il più grande illusionista del mondo.
È così. C’è molto più materiale nel Pozzo della Dimenticanza che in quello della Memoria. Il nostro cervello lavora per metterci in linea con il mondo, la famiglia, la società e per farlo bene deve necessariamente scartare, nasconderci, qualcosa…

Quanto lavoro ha richiesto rendere comprensibile e di facile lettura la parte più scientifica del libro?
È stata una parte impegnativa perché dovevo far parlare un docente universitario, il Professor John Glynn, in maniera chiara e narrativa. Spero di esserci riuscito lasciando al lettore la sensazione di mistero che anima la geologia, di più, del dubbio che spinge ogni scienza a indagare il mistero tout court. John Glynn è un uomo solido come il granito al top della carriera che lungo il romanzo si sbriciola come un castello di sabbia di fronte alle domande irrisolte della sua stessa scienza ed è costretto ad accettare risposte che non hanno una soluzione razionale.

Qual è il tuo rapporto con la spiritualità?
Intrattengo un fitto rapporto epistolare con una frotta di spettri assai burloni ☺

Qual è la cosa più complessa o strana che hai dovuto fare per scrivere l’uomo del bosco?
Certamente mettere insieme le ricerche geologiche con la trama mystery, fondere la discesa sotto il livello della crosta terrestre con quella in fondo all’inconscio del Professor Glynn.

Dovessi catalogarlo, come definiresti questo libro? Perché mi sembra di trovare una commistione di vari generi: mistery, pizzico di horror, thriller, new age…
Un romanzo sul Mistero e sui misteri che abbraccia il thriller, il poliziesco, il mystery alla King e il romanzo d’avventura alla Verne.

C’è un messaggio nel libro o è solo una storia?
La letteratura non è un postino ☺. La letteratura è. Produce energia, emozioni in chi legge e richiede energia ed emozioni dai lettori. Questa storia, i suoi personaggi, i suoi misteri, sono di tutti quelli che vorranno varcare la soglia del mondo di sopra per scendere nel mio, e nel proprio, sottosuolo immaginario.

Mi ha fatto sorridere, oltre al nome Trivelli in un libro in cui si parla di scavi, anche il fatto che il libro esca per Longanesi nella collana Gaja Scienza. Direi che è perfetto, no?
Come si dice… Nomen Omen!

Ora, piccola nota di biasimo. Tu scrivi: “aveva un aspetto curato e giovanile NONOSTANTE i 55 anni” NONOSTANTE? Ma ti pare? Ma sono cose da dirsi?
Firmato: una cinquantacinquenne.

Si tratta chiaramente di un refuso!!!

MilanoNera ringrazia Mirko Zilahy per la disponibilità

Cristina Aicardi

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