La pazienza del ragno



andrea camilleri
La pazienza del ragno
sellerio
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Può l’odio vero trasformarsi in un amore altrettanto forte? Andrea Camilleri cerca di dare una risposta a questa domanda. La pazienza del ragno è quella di continuare a tessere la sua tela nonostante le difficoltà. Ma è anche quella di attendere nascosto nell’ombra che la vittima cada all’interno della sua aggrovigliata trappola.

Tela, trappola, filare, tutti indicano un lavoro meticoloso, studiato, come un piano. A Vigata va di scena un rapimento. Un evento strano. Così strano che al commissario Montalbano viene affiancato un procuratore calabrese per risolverlo. A cadere nella rete è Susanna Mistretta; una ragazza bella, forte come solo il sole del più profondo sud sa essere. Il riscatto è di due miliardi di lire. Una cifra che per la famiglia Mistretta, ormai sull’orlo del crack finanziario, risulta impossibile da pagare. Ed allora Montalbano dovrà “Cataminarsi” alla ricerca dei moventi del crimine, cercando il ragno acquattato nell’ombra pronto a cogliere di sorpresa la sua preda.

Camilleri ci trascina nei meandri di quello che nel suo romanzo definisce come “Un sequestro mediatico”. Lo scrittore di Porte Empedocle ci mostra come un fatto di cronaca possa muovere l’opinione pubblica e di come questa sia in grado persino di distruggere la vita di un uomo. La vicenda costringerà lo stesso Montalbano, che di quell’opinione pubblica fa parte, a fare una scelta, tra i suoi principi ed un crimine il cui unico movente sembra essere il troppo amore.

I personaggi di Camilleri sono reali. Non solo nei gesti e nei comportamenti, ma anche nelle frasi. Loro parlano come mangiano ed allora il dialetto siciliano la fa da padrone. Ma Camilleri fa di più e mette il narratore, se stesso, allo stesso livello dei propri personaggi, ubbidendo anche egli alla loro stessa regola. Il risultato è un realismo straordinario, nel quale il lettore si sente sazio anche lui dopo essersi seduto al tavolo con Montalbano. Ma l’eccezionalità di Camilleri sta anche nei diversi livelli di analisi.

Lui che è un seguace della vecchia regola manzoniana di affiancare l’utile al dilettevole. Così quando il commissario di Vigata si trova disperso nelle campagne della Sicilia, nel climax dello svolgimento della trama, lui stesso e la vicenda che lo ha portato fin lì svaniscono. Sotto i riflettori, sul palco, sale un cavalcavia solitario, il cui unico passante è un cane randagio che non sa fare di meglio che abbaiare alle auto di passaggio. Un eco-mostro orizzontale, figlio di una politica edilizia folle e che punta solo al guadagno. L’Italia dovrebbe essere grata ad Andrea Camilleri. Grata perché lui insieme a pochi altri (Saviano per citarne un esempio) restano ancora fermi su un antico adagio che recita che la penna ferisce più della spada.

giuseppe andreozzi

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