Non č semplice raccontare ciň che fa male alla societŕ. Quando si parla poi di incidenti sul lavoro, mobbing o precariato, il rischio grosso č quello di scadere nel pietismo, e la denuncia netta da parte del delatore-scrittore, come qualcosa di dovuto.
Nel caso dell’antologia edita da Einaudi, Lavoro da morire, la regola data agli autori č stata quella del reportage narrativo, del non fiction novel, un lavoro dunque di raccolta di testimonianze opportunamente scandagliate e rielaborate in forma letteraria.
Un modo per prendere le distanze e per raccontare storie vere di vita vissuta, storie dal mondo del lavoro.
Degli undici racconti dell’antologia alcuni valgono la pena di venire citati, quello di Tullio Avoledo per esempio, ambientato in un’epoca futuristica dove il lavoro sembra ormai un cimelio buono per i musei, il Tempo parziale di Carmen Covito, la storia della discriminazione e delle sofferenze di una donna alle prese con la propria maternitŕ, e poi le storie di migrazione, da Giorgio Falco a Dacia Maraini che intervista Nadja una badante ucraina.
Altri temi sono quelli della disabilitŕ e dell’Aids, Michela Murgia in Alla pari con una scrittura tagliente riporta una vicenda di mobbing verso un dipendente sieropositivo all’interno di una filiale bancaria.
Grazia Verasani invece si sofferma sul precariato bolognese e sull’assenza di futuro delle giovani generazioni.
Sul tema delle morti bianche e degli incidenti sul lavoro le riflessioni di Antonio Pascale che ricorda anche le tragiche vicende della Thyssen ponendo l’attenzione sulla letteratura giornalistica e sul linguaggio utilizzato dai media nella descrizione degli infortuni o tragedie.
E difatti il corpus di racconti nasce dall’iniziativa dell’INAIL Valle d’Aosta Diritti senza rovesci, una campagna culturale di sensibilizzazione sulle questioni del lavoro e della sicurezza, che ha scelto la narrativa per dare voce e corpo alle storie di lavoratori e lavoratrici.