Le sette morti di Evelyn Hardcastle



Stuart Turton
Le sette morti di Evelyn Hardcastle
Neri Pozza
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Qualcosa in comune Stuart Turton, il fortunato autore de Le sette morti di Evelyn Hardcastle (Neri Pozza, Collana I Narratori delle Tavole, pagg.448, 2019), e io lo abbiamo davvero: un rito di iniziazione, in tenerissima età, quando la vicina di casa Doris nel suo caso e uno zio temerario nel mio, ci costrinsero a un apprendimento intensivo dell’opera omnia di madame Agatha Christie.
Purtroppo per me, i paragoni con Turton finiscono qui perché nel suo caso i rudimenti di quella originale cultura lo hanno condotto, fin dal suo esordio, sul podio dei più acclamati scrittori britannici, inaugurando Raven Books, il nuovo marchio editoriale specializzato in crime della Bloomsbury, editrice della saga di Harry Potter, aggiudicandosi il premio Costa per il Miglior Debutto del 2018 e ispirando in Italia, ancor prima del suo apparire nelle librerie, la realizzazione di una escape room.
Per un autore sconosciuto ai più, che ha praticato fino a poco fa i mestieri più disparati – libraio in Australia, insegnante di inglese in Oriente, giornalista free lance – direi che si tratta di un successo senza precedenti.
Meritato? Senza dubbio. Turton ha confezionato un rompicapo perfetto e diabolico, capace di impegnare allo stremo il più smaliziato lettore (io stessa mi sono scoperta a prendere appunti durante la lettura), impeccabile nella soluzione, allusivo ai più classici stilemi da detection della golden age, ma attualissimo negli interrogativi esistenziali e nella contaminazione del crimine da colpevole ad ambiente.
Una sontuosa dimora inglese, circondata da ameni giardini ma anche da un’inestricabile foresta, attende il gran ballo per festeggiare il ritorno da Parigi di Evelyn Hardcastle, figlia di lord Peter e di lady Helena. La data però cade nell’infausta ricorrenza della morte di Thomas, il primogenito degli Hardcastle, ucciso diciannove anni prima da un guardiano della tenuta sulle rive del loro lago. La sera del ballo, in quelle stesse acque, anche Evelyn cade per un colpo di pistola, e non morirà una volta volta ma sette come recita il titolo, fino a quando un incerto detective, la cui identità verrà svelata soltanto dopo un centinaio di pagine, non verrà a capo dell’enigma. A complicare la sua indagine interverranno: un’autentica folla di ospiti e domestici, presenti anche all’epoca del primo omicidio; un inquietante personaggio travestito da Medico della peste, in oscillante funzione di supporto o di ostacolo all’investigatore; un temibile Lacchè, che cerca di spaventarlo in ogni modo e forse anche di ucciderlo; e Anna, la misteriosa e inafferrabile Anna. E se tutto ciò non bastasse, il detective sarà costretto a rivivere otto volte il giorno della morte di Evelyn, nel corpo di un sempre diverso personaggio, cercando in ognuno degli altrui panni un flebile indizio della propria personalità.
Credo che le poche righe che ho dedicato alla trama riescano però a trasmetterne la complessa e originale architettura.
Per l’esordio di Turton sono stati chiamati in causa i film Gosford Park di Robert Altman, sceneggiatura di Julian Fellows, e Groundhog Day di Harold Ramis (ma io aggiungerei anche Vantage point di Pete Travis, per la scomposizione della storia secondo la visuale dei diversi protagonisti) e almeno due capolavori di Agatha Christie, che non citerò perché almeno uno darebbe indizi troppo espliciti nei riguardi del plot principale. In realtà lo stesso Turton ha preso le distanze dalla grande dame perché, pur riconoscendo l’influenza che ha senza dubbio esercitato nella sua formazione, ha ammesso che “Agatha aveva già scritto tutti i colpi di scena più eccezionali per ogni trama, tutti i più brillanti inganni e trabocchetti narrativi, e tutti i personaggi più brillantemente ambigui”.
La stessa affinità con le detection novels è più apparente che reale, a cominciare dall’ambientazione: sì, certo, una sontuosa magione nella campagna inglese, fatiscente all’esterno per quanto risplende all’interno, dove si aprono inaspettati tocchi horror: “Specchi incorniciati si allineano sulle pareti, un ampio scalone dall’elaborata balaustra s’innalza verso un ballatoio, e una stretta passatoia rossa scende lungo i gradini come il sangue di un animale macellato”.
Fin dall’ingresso in quella dimora al malcapitato visitatore nulla apparirà come sembra e gli stessi cristalli, la cera a lustro dei parquets, il bagliore degli argenti nasconderanno un’anima corrotta.
Ogni personaggio celerà ambigue caratteristiche di vittima e carnefice, il ballo sarà festa di accoglienza per il ritorno di Evelyn o la più crudele delle punizioni, la sua morte autoinflitta o opera del più malvagio assassino.
Gli stessi stilemi cui Turton ricorre come nella più classica delle detection, il telefono che non funziona o la villa isolata da un’impenetrabile foresta, acquistano l’ironico sapore dell’ennesimo inganno, di quel beffardo gioco di specchi al quale l’autore piega i suoi lettori per le quasi cinquecento pagine del rompicapo. Ben azzeccata ed evocativa, a tal proposito, appare la copertina italiana del grande Giuseppe Quattrocchi, che mostra i protagonisti affacciarsi elusivi da una interminabile sequenza di quinte teatrali.
La scrittura puntuale ma priva di artifici mantiene il lettore ben avvinto alla pagina, a dispetto di una trama resa spesso intricata dalla coesistenza di molteplici incarnazioni nello stesso giorno. Voglio qui rendere doverosa menzione anche all’accurato lavoro di editing: non è facile imbattersi in un’opera di quasi cinquecento pagine priva, o quasi, di refusi.
Le sette morti di Evelyn Hardcastle rappresentano una sfida per il lettore e si prestano a diverse chiavi di lettura: un’eco nostalgica della grande stagione in cui la detection ha rappresentato il trionfo della ragione e un divertissement per chi cerca nella crime novel la conferma delle proprie doti investigative.
Ma anche qualcosa di più: la consapevolezza che esistono in ciascuno di noi frammenti di un’anima molteplice, responsabile dei nostri peccati e unico strumento della nostra possibile redenzione.

 

Giusy Giulianini

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