Eugenio Tornaghi, 48 anni, è manager bancario e scrittore, vincitore, nel 2010 del Premio Nebbia Gialla con Il debito dell’ingegnere. Esce in questi giorni, per Novecento Editore, la sua ultima fatica letteraria, La pesca dello spada.
Eugenio, tu ricopri un incarico di responsabilità all’interno di un importante gruppo bancario. Ci vuoi spiegare come è nato in te il desiderio di affiancare alla tua professione “di partenza” anche quella dello scrittore?
A dire il vero ho sempre scritto, ma solo dopo i trent’anni sono riuscito a produrre qualcosa degno di essere pubblicato. Sono una di quelle persone che sente il bisogno di raccontarsi e di raccontare quello che fa. L’attitudine che Garcia Marquez ha sintetizzato nella frase “vivere per raccontarla”.
Parliamo del tuo romanzo appena uscito, La pesca dello spada. Il protagonista, il Commissario Cattaneo, ironico e tostissimo sciupafemmine, si trova, un po’ a disagio, a doversi confrontare con il mondo dell’alta finanza. Come ti è nata l’idea di ambientare un romanzo giallo serratissimo e pieno di colpi di scena proprio nell’ambiente che conosci più da vicino?
Nel sentire comune, le banche sono strutture incomprensibili e noiose.
Eppure, basterebbe ricordare la storia recente, per capire che dentro e attorno alle banche si agitano passioni anche violente. Era banchiere Calvi, che finì impiccato a Londra. Era banchiere Sindona, che fu suicidato in carcere a Voghera. Ed era banchiere Alfred Herrausen, che venne assassinato nell’’89. La storia delle banche è stata soprattutto una storia di idee, di contrapposte visioni del mondo.
Volevo raccontare questo, nel mio romanzo, e poi volevo rendere finalmente comprensibile l’ambiente in cui lavoro da ventitré anni.
Per farlo ho voluto un protagonista che fosse più che ignorante in materia. Il commissario Cattaneo non sa nulla di banche e, come hai notato, nemmeno vorrebbe saperne. E’ la necessità di capire cosa è successo, a spingerlo a imparare. Se il lettore vorrà accettare il meccanismo del giallo, la sfida a scoprire l’assassino prima del commissario, finirà per imparare qualcosa anche lui. Spero senza sbadigliare.
Nel tuo romanzo descrivi con grande maestria intrecci fra politica, finanza e criminalità organizzata. Mi pare però che tu voglia anche fare capire che non tutti gli “abitanti” di questo mondo “di sopra” sono privi di una loro morale, anche se magari la applicano in modo sbagliato. Ho visto giusto?
Hai visto giusto. Come ti dicevo, la storia delle banche è soprattutto una storia di idee. Un titolo alternativo a “La pesca dello spada” era “Per combattere la miseria e arginare la riforma protestante”.
Una frase che oggi può sembrare astrusa, ma se cerchi su internet scoprirai che era il fine che si prefiggevano i 7 cittadini torinesi che nel 1563, fondarono la “Compagnia di San Paolo”, ancora oggi tra i principali azionisti di Banca IntesaSanPaolo. Qualunque cosa tu possa pensare della banche, a motivare i fondatori, furono molto spesso scopi morali.
Nel romanzo ritroviamo molti richiami a vicende realmente accadute, in Italia e fuori. Secondo te, quanto è importante, per conferire realismo e interesse ad una storia, il fatto di documentarsi seriamente e operare agganci precisi, anche a vicende che hanno segnato in negativo la storia, non solo italiana?
Io credo che il romanzo, anche un romanzo giallo, debba aiutare a comprendere la realtà. Specialmente quando la realtà non è stata spiegata.
Mi spiego facendo un parallelo con il più grande romanzo di Ellroy: “American Tabloid”. La trama ruota attorno all’omicidio di JFK, fornendo una spiegazione plausibile del perché venne assassinato. E’ quello che accadde veramente? Forse no e in ogni caso, essendo un romanzo, “fiction” come dicono gli americani, non è tenuto alla verità. Racconta le vicende di tre protagonisti inventati, che però si muovono in una realtà fedelmente ricostruita. Il lettore, così, torna a respirare il clima di quegli anni, ritrova i protagonisti della scena politica e le loro azioni, riflette su quello che è stato e si costruisce una sua opinione. Lo stesso ho voluto fare nel mio romanzo, a parte la trama gialla, tutto il resto è frutto di un’attenta ricerca storica.
Tutto il romanzo, che pur presenta note drammatiche e anche commoventi tratteggiate con grande padronanza, è pervaso da una sottile ironia che traspare, oltre che dai dialoghi, anche da molte caratterizzazioni. Il sense of humor è una delle tue caratteristiche?
Spero. La vita è una barzelletta, se non ridi è perché non l’hai capita. Questa non è mia, è del mio amico Paolo, ma sospetto che anche lui l’abbia presa a qualcuno.
Lo stile di scrittura può decretare il successo o meno di un libro, e il tuo è assolutamente sciolto e brillante, restando al contempo denso e intrigante. Una dote di natura o ci hai lavorato sopra?
Tutte e due le cose. Scrivere è in qualche modo un’attività vocazionale. Ci sono persone portate a raccontare e persone che non lo sono. Ma essere portati, non basta. Bisogna lavorarci. E’ uno scrivere e riscrivere, faticoso ma anche bello. E’ un percorso simile a quello di un artigiano, che si ispira ai maestri e lavora giorno dopo giorno sforzandosi di capire come diventare migliore.
Una domanda, che penso stia a cuore a tutti i lettori: rivedremo ancora all’opera il Commissario Cattaneo, magari in vesti professionali un pochino diverse?
Magari sì, ma non necessariamente come protagonista.
Siamo un po’ indiscreti e parliamo ora, se ci permetti, del Tornaghi “privato cittadino”. Cosa fai nei tuoi, penso rarissimi, momenti liberi dal lavoro e dalla scrittura?
La scrittura è in realtà un rifugio. Io sono un insonne. Dormo di norma 4-5 ore a notte. Quando sono sveglio, la mattina intorno alle 5, penso spesso a quanto sono fortunato ad avere questa passione e non altre. Mi dilettassi con la batteria, ad esempio, a quest’ora sarei probabilmente divorziato.
Quindi, la scrittura “non invade” le mie giornate, il lavoro sì. Spesso le devasta.
In ogni caso, nel tempo libero faccio quello che fanno tutti. Sto con la famiglia, gli amici. Ho una gran passione per le motociclette, il mare e la mountain bike. Mi piacciono gli sport di fatica, meglio se solitari. Vivo e lavoro costantemente circondato da persone, sento molto il bisogno di stare solo. Di sentire il silenzio.
Chiudiamo con due domandine brevissime (ma importanti): i tre libri che secondo te non dovrebbero mai mancare in una biblioteca e, last but not least, il sogno nel cassetto dello scrittore Eugenio Tornaghi.
“Viaggio al termine della notte”, di Celine. L’ho evitato a lungo, per stupidi pregiudizi ideologici, e quando finalmente l’ho letto sono rimasto folgorato. E’ come se riportasse l’essere umano al “grezzo” della sua natura. Inarrivabile.
Poi “Galindez” di Manuel Vasquez Montalban. E’ l’esempio più alto di come e cosa mi piacerebbe scrivere.
Infine. ma non per ultimo. “Memorie di Adriano” della Yourcenar, per quel senso di infinita, fiera solitudine che lo pervade. L’Uomo « Quando gli Dèi non c’erano già più, ma Cristo non era ancora apparso… », come scrive l’autrice nella postfazione.
Il sogno nel cassetto di ogni scrittore è essere letto. Sogno quindi di avere un gran numero di lettori, ma solo perché, ripeto, il fine di chi scrive è essere letto. Non sogno di scrivere soltanto. Bisogna “vivere per raccontarla.”