L’IMPAGLIATORE: UN ROMANZO CHE NON LASCIA TRACCE, MA LIVIDI
“Tutto sopravviveva senza morire. Tutto vegetava senza che un cuore pulsasse dentro quella città finta. I giorni di ogni essere umano erano comandati da un moto inerziale. Si rotolava tutti insieme. A volte ordinatamente”.
L’impagliatore è un romanzo che non lascia tracce, ma lividi. Un romanzo che ti accarezza, ti bacia per poi violentarti finché è troppo tardi: ormai è dentro di te.
È un libro che ti inghiotte, che riesce a scavarti dentro e a farti riflettere come davanti ad uno specchio che via via, secondo le coordinate emotive invisibilmente orchestrate dall’autore, diventa magico, lucido, appannato, scheggiato, frantumato. L’impagliatore è un romanzo dirompente, di una forza tragica, diremmo classica se solo questa definizione non fosse ormai logorata.
Di Fulvio, pagina dopo pagina, esprime una potenzialità di scrittura che ha pochi eguali in Italia: alle nostre latitudini letterarie non esistono molti altri scrittori che abbiano la stessa forza, la stessa semplicità, la stessa misura di penna. Di Fulvio rende a pieno “l’urlo e il furore” di una letteratura che rimane, di una letteratura capace di andare oltre i limiti della carta.
“L’impagliatore” è un noir, ma scavalca il ghetto della narrativa di genere: perché accanto a quei meccanismi seriali che hanno fatto la fortuna di autori come Ian Rankin o Michael Connelly, Di Fulvio delinea geografie dell’anima dagli echi faulkneriani e disegna sulla pagina paesaggi emotivi che hanno la stessa poesia del miglior De André.
Il suo racconto è ambientato in una città che non è mai nominata, ma che tra le righe si riconosce nella “città vecchia” di Genova: strade sospese nel tempo e al contempo stritolate dal tempo, strade coperte della polvere invisibile di quel vizio che è vivere.
Come un Villon elettro-adrenalinico ci racconta di esistenze appese al cappio della vita, di uomini che non si perdono mai d’animo, eppure perdono l’anima.
Costretti come sono in un mondo “grigio modesto, un non colore sbiadito, piatto, che non leva il respiro ma che non lascia abbastanza aria, che filtra la luce senza mai rifletterla”.
(Gian Paolo Serino)
Luca di Fulvio- L’impagliatore – Einaudi GIUDIZIO: