Secondo il dizionario Zanichelli, la definizione giusta del titolo è questa: barcamenarsi, non prendere una posizione decisa tra più alternative in modo da non subire danni.
E quindi: non prendere parte in maniera chiara in una situazione ma tenersi buone entrambe le parti, appoggiandole a seconda del momento. In realtà il significato del modo di dire è quasi sempre negativo: perché la persona che tiene il piede in due scarpe spesso è furba, ipocrita, o per lo meno sleale. Anche se in realtà a tutti, può capitare di farlo. Ma nell’ultimo romanzo di Bruno Morchio, Luca Latorre, sposato soprattutto per interesse a Genova con una bella e ricca ragazza, ma che continua ad amare e incontrare corrisposto la sua ex fidanzata Teresa, dichiara con amara convinzione: “Non posso continuare a tenere il piede in due scarpe”. E forse un altro titolo appropriato (molto in stile Sherlock Holmes) avrebbe potuto essere: Il caso della ragazza con l’impermeabile fradicio. Ma vediamo qualcosa della trama: Genova, febbraio 1992. Gelo e pioggia martirizzano la città nell’anno dell’Expo e delle celebrazioni colombiane. Il dottor Paolo Luzi, psicologo quarantenne, trova seduta sulle scale fuori dal suo studio, bagnata come un pulcino ma intenta a leggere Il processo di Kafka, una ragazza dai capelli rossi. Venticinque anni circa, vestita malamente ma dall’aria di scolaretta saggia. Evidentemente è lei la paziente che gli ha chiesto un appuntamento con un biglietto, ed è in anticipo. Però Morchio ci spiega subito: «Paolo Luzi avvertì il primo segnale: una fitta al costato, all’altezza del cuore. Quando succedeva – e nel lavoro gli capitava spesso – significava che il suo interlocutore stava soffrendo» Superando l’impatto emotivo, lo psicologo invita la giovane donna a entrare ma visto che è in anticipo si concede qualche minuto per analizzare l’impressione che gli ha fatto quella strana paziente. E quando ce l’ha davanti appollaiata sulla poltroncina, si presenta: Teresa Gorrini, poi si confessa e gli chiede aiuto: spera che Luzi riesca a dissuaderla dall’uccidere il suo amante, Luca Latorre. Ma Luzi non le crede perché il suo collo si è irrigidito e quello è il “segnale”, la facoltà che lo fa diverso dai colleghi e dal resto del mondo, una via di mezzo tra il karma e un handicap. Come il colpo al costato è l’ amaro “dono” del destino dopo la spaventosa disgrazia di dieci anni prima. E quel segnale gli dice che la ragazza sta mentendo. Al successivo appuntamento però Teresa non si presenta. E la mattina dopo, Paolo Luzi legge sul giornale che Luca Latorre è stato trovato morto nei cosiddetti Giardini di Plastica. E Teresa ha detto la sua intenzione di uccidere anche a Sonia Cersosimo moglie dell’amante. Caso chiuso? Non secondo Luzi che, con un tarlo che gli rode implacabile, si metterà a indagare per scagionarla, convinto della sua innocenza… Ma non è l’unico, perché ne sono convinti praticamente tutti coloro che la conoscono, persino Sonia, gli amici più vicini e addirittura i suoceri della vittima, tanto che benché la ragazza si rifiuti di aprire bocca, anche il commissario Diego Ingravallo, altoatesino di aspetto e di lingua a dispetto del cognome molisano (e perennemente inseguito dal fantasma dell’ Ingravallo del “Pasticciaccio” di Carlo Emilio Gadda) nutre dei dubbi.
Nuovo personaggio (che presenta sfacciatamente alcuni tratti autobiografici) di Bruno Morchio, interessante e particolare, questo Paolo Luzi, disincantato psicologo quarantenne che, dopo la terribile disgrazia occorsagli, ha scelto di vegetare in una pseudo vita quasi fuori dal tempo e dallo spazio, solo coinvolto dai problemi psicologici dei suoi clienti. Con un padre ex idraulico di grande esperienza, che mette la sua professionalità al servizio di belle signore che gli stuzzicano ancora il palato, e tenta di tirare fuori dal buco nero quel povero tapino di figlio, andandolo a trovare e cucinando amorevolmente per lui. Ma stavolta Paolo Luzi, che non si dà pace, pur di aiutare la sua paziente si troverà trascinato in una spirale che lo costringerà a rimettersi in gioco, a dimenticare la sua sofferta abulia da disperazione, sbrogliando il mistero del delitto e, come una fenice che rinasce dalle ceneri, a trovare finalmente un modo di ricostruire la sua vita.
Come sempre con Bruno Morchio largo spazio a letteratura, musica raffinata a gogò e, stavolta, persino la trance ipnotica provocata dalla visione di uno splendido Magnasco s’insinuano tra le parole scritte per accompagnare la colta narrazione.
Un piede in due scarpe
Patrizia Debicke