Il rumore del silenzio – Brian Freeman



Brian Freeman
Il rumore del silenzio
Piemme
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Come la neve non fa rumore.

Lo cantava Lucio Battisti e la sensazione rimane la medesima, trovando radici letterarie ancor prima in quel magnifico finale di Dubliners in cui Joyce dipinge soffici fiocchi poggiarsi su quelle lapidi alle quali qualcun altro avrebbe dato voce, vita e storia. Ma Freeman non è James Joyce e non è Edgar Lee Master. Ma la sua neve così battistiana cade poggiandosi lieve sugli eventi e sulle persone con lo stesso effetto, nel solido plot di questo ultimo lavoro dell’Autore di Chicago. La si osserva estasiati mentre cade leggera, senza rendersi conto che, una volta poggiatasi ed accumulatasi in gran quantità, d’improvviso crea danni incommensurabili senza poter essere arrestata. E la trama di questo romanzo non è differente, allorquando gli eventi iniziano ad evolversi/involversi con la feroce violenza di una valanga, trascinando via tutto quel che trovano dinanzi a sé, a partire da quel che i personaggi appaiono, ma non sono.

Trascina violentemente persone e le loro maschere indosso, riportandoci a quel ritrovamento di vent’anni addietro, allorquando la protagonista Shelby venne abbandonata nella contea di Mittel e fortunosamente trovata e dallo sceriffo di città, il cui anelito di onestà diviene il paradigma della vita stessa della protagonista, diventata a sua volta quel baluardo di giustizia in divisa che dovrà capire cosa è avvenuto oggi al piccolo Jeremiah Sloan.

Ad una trama strutturata e solida, Freeman aggiunge una narrazione in prima persona proprio da parte della protagonista Shelby, quasi fosse un carnet de voyage, una Moleskine di fatti e sensazioni vissute e raccontate con vivida limpidezza prima che il vortice degli eventi vada a fagocitare i luoghi, i personaggi, il lettore.Piemme ci saluta dallo scaffale della nostra libreria di fiducia con una copertina che sembra rievocare il miglior Kubrick, mentre La Guerra di Piero del Faber di Genova è pronta ad attenderci sotto la puntina del nostro hi-fi, ricordandoci come la neve possa esser facilmente macchiata di gocce purpuree, perdendo la propria verginità.

 

Giuseppe Calogiuri

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