Il Logista – Intervista a Federica Fantozzi –

downloadFederica Fantozzi, romana, è giornalista per importanti testate nazionali e scrittrice di successo.
Da qualche settimana è in libreria la sua ultima fatica letteraria, Il logista, (Marsilio Editore), un avvincente thriller ambientato principalmente a Roma, che tratta tematiche di scottante e drammatica attualità.

Federica, come è nato in te il desiderio di scrivere questo libro?
Il desiderio si è manifestato durante una vacanza alle Maldive, quando anziché guardare come gli altri i pesci tropicali, mi chiedevo da dove avrebbe potuto assaltarci un commando di terroristi. Ma è un impulso che viene da prima. La strage di Parigi del 2015, il cosiddetto Venerdì 13 culminato nell’assalto al teatro Bataclan, è stato l’elemento fondamentale per la nascita del romanzo. L’Unità mi ha inviato dalla redazione a seguire quell’evento e, da cronista politica, non ero preparata all’impatto che avrebbe avuto su di me. Sono atterrata in un paese lacerato tra paura e orgoglio laico, ho camminato tra persone che scoppiavano a piangere nel sentire dei passi alle loro spalle, ho intervistato il padre di una ragazza, Aurelie, morta proprio al Bataclan. Incontrare faccia a faccia le conseguenze del Male commesso dagli uomini è un’esperienza che non si dimentica.

Già il titolo è molto intrigante. Ci vuoi spiegare cos’è un logista?
Sono contenta che ti piaccia perché era una scommessa: quasi nessuno sa cosa sia un logista e mi sono chiesta se avrebbe incuriosito o scoraggiato i potenziali lettori. La verità è che anche io ignoravo l’esistenza di quella professione finché un collega del Fatto Quotidiano, Stefano Citati, me ne ha rivelato l’esistenza proprio a Parigi, durante i giorni dopo il Bataclan. Un logista è un professionista che prende in carico la trasferta del cliente all’estero dall’arrivo alla partenza finale. Una specie di mister Wolf che risolve i problemi. Ovviamente dal punto di vista del thriller a me interessa una sottospecie: il logista di guerra, quello che – per esempio – ti porta fino alla grotta di un signore della guerra afghano per l’intervista e ti riporta a casa incolume. È un lavoro ambiguo e borderline, dato che per tutelarti devi essere in contatto con polizia, servizi segreti, fazioni militari… Una miniera d’oro per gli scrittori.

Quanto c’è di Federica in Amalia, la coraggiosa cronista protagonista del romanzo?
Niente e tutto. Nel senso che è più giovane e un po’ più pasticciona di me, oltre al fatto che non abbiamo vissuto nessuna esperienza in comune. Ma inevitabilmente ha assorbito buona parte del mio modo di vedere le cose e, soprattutto, di guardare alla professione del giornalista che è molto cambiata negli ultimi anni. Direi che condividiamo, con qualche altro migliaio di colleghi, la ricerca ostinata e a volte insensata dello scoop anche nelle condizioni più avverse. E, come mi ha fatto notare schifato mio padre, l’amore per gli animali di ogni razza e genere.

Il tuo libro parla soprattutto di un tema drammatico, quello del terrorismo internazionale. Come ti è sorto il desiderio – o la necessità – di scrivere di tematiche così dolorosamente attuali per la vita di milioni di cittadini?
Come dicevo, tutto è nato dall’esperienza personale a Parigi. Da cui sono tornata con una domanda: cosa distingue noi italiani, e in particolare noi romani, dai francesi, dai tedeschi, dagli inglesi, dagli spagnoli, etc? Cioè, cosa ci mette al riparo da un attentato a casa nostra? La risposta, a mio avviso è: il destino. Ho provato a pensare dal punto di vista di un terrorista: sceglierei sceglierei, probabilmente, un bersaglio spettacolare che renda il mio “martirio” celebre in tutto il mondo. Il che, ovviamente, implica un livello di preparazione, organizzazione, competenze e supporto tecnico e logistico molto elevato. Ecco perché, con i servizi segreti in grande allerta, i jihadisti tendono a preferire micro-attacchi quasi impossibili da prevedere. Anche perché saldano l’ideologia religiosa con la disperazione umana. Come dice uno dei personaggi del romanzo a proposito dei jihadisti europei: non è la povertà a farli ticchettare, è il vuoto dentro.

Quanto hanno influito le tue competenze giornalistiche nella stesura del romanzo? E quanto invece c’è nel libro delle tue esperienze personali, di donna testimone di drammi di tale portata?
Direi che quindici anni da cronista mi hanno aiutato a sintetizzare, scremare i particolari superflui e dare una gerarchia alle cose che scrivo. Quanto alla mia testimonianza di atti terroristici, per fortuna è soltanto indiretta.

Federica FantozziRitieni che il terrorismo sia un fenomeno che può – o deve – cambiare la nostra vita, il nostro modo di relazionarci con gli altri? O magari l’ha già fatto?
Lo fa ogni giorno. A volte ce ne dimentichiamo e poi ce ne ricordiamo di nuovo. Come madre, io sono ambivalente. Da un lato, ho scelto il fatalismo: andiamo spesso a Parigi e mio marito si è trasferito a Berlino per lavoro. Eravamo a Londra durante il ponte del primo maggio ed eravamo di fronte ai cancelli di Westminster il giorno prima dell’arresto di un potenziale attentatore armato di coltelli. Dall’altro lato, però, non ho mandato i bambini al cinema a vedere la prima dell’ultimo episodio di Star Wars, uscito il 16 dicembre del 2015, poco dopo la strage del Bataclan. Ho fatto come per il passaggio sotto una scala: non ci credo, ma evito.

Tornando al libro, penso si possa dire che uno dei tuoi personaggi sia rappresentato dalla stessa Città Eterna, colta spesso nei suoi aspetti meno conosciuti… In che modo hai visto cambiare Roma nel corso di questi anni? Come vedi il suo futuro?
L’ho vista cambiare in peggio e prevedo un triste declino. Nel romanzo non ci sono denunce politiche, non mi interessava prendermela con questo sindaco piuttosto che con il precedente, ma solo il racconto dello stato d’animo di un romano. La cosa divertente è che non è stato intenzionale: me ne sono accorta solo alla fine della stesura. Evidentemente, la consapevolezza del degrado e dell’abbandono è ormai radicata dentro noi cittadini dell’Urbe.

Troveremo ancora qualcuno dei personaggi di questo libro impegnati in altre “avventure”?
Sì. Nella mia idea le vicende di Amalia sono racchiuse in una trilogia. Il secondo episodio, che sto finendo, è una storia a sé dove tornano il poliziotto Alfredo Pani e i colleghi della redazione di Amalia. Ma nell’ultima puntata lei dovrà chiudere tutti i conti in sospeso. Soprattutto quelli con i nemici.

Una domanda alla Federica giornalista: come vedi il futuro della carta stampata in Italia, e più in generale dell’informazione?
Li vedo come due cose distinte. La carta stampata sopravvivrà ma si concentrerà nelle mani di un gruppo di big players capaci di tenere i conti in ordine e di dedicare tempo e risorse al giornalismo di qualità. Gli altri giornali si trasformeranno in foglietti che fanno grande ricorso al copia e incolla e rendono poco a chi si imbarca nell’avventura. Quanto all’informazione, penso che la battaglia cruciale di questi tempi sia contro le fake news. Ma è impossibile combatterla senza la collaborazione dei lettori: devono rendersi conto che sono i primi a rimetterci dal dilagare di falsità incontrollate e apocrife.

Un consiglio per un giovane che volesse seguire le tue orme e intraprendere oggi la carriera giornalistica?
Mi verrebbe da consigliargli di andare all’estero, dove c’è maggiore rispetto per questa professione e meno corporativismo. In ogni caso, le basi sono la curiosità, la conoscenza delle lingue e l’onestà intellettuale.

Ultima domanda come da copione: il sogno nel cassetto o, se preferisci, il prossimo “progetto” di Federica Fantozzi?
Portare a termine la trilogia di Amalia mi sembra già un obiettivo abbastanza ambizioso.

Gian Luca Lamborizio

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