Il venditore di pianeti



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Il venditore di pianeti
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Nell’Osteria dei Soprannomi, locale perennemente aperto, immerso in una Sestri in cui non sorge mai il sole e che sembra emergere da un mondo parallelo, due cose sono assolutamente vietate: il bicchiere vuoto davanti a un cliente e l’ingresso ai nomi. Ed è proprio in questo luogo surreale che, su richiesta del padre, l’Io Narrante, aspirante scrittore, inizia la sua ricerca di tale Pietro, il Venditore di Pianeti. Appare subito evidente dalle prime pagine che questa trama altro non è che il pretesto per raccontare e presentare l’improbabile schiera di avventori che popolano l’Osteria, attraverso capitoli che potrebbero benissimo essere brevi racconti. Impariamo così a conoscere, attraverso brevissime descrizioni e dialoghi serrati al limite dell’assurdo con il narratore, personaggi come Tom Valzer, ballerino ed amante instancabile che riesce a far danzare anche gli insetti e che ha sempre una risposta ad ogni domanda, o Carlo Tomaszewski, portiere e tifoso della Polonia anni ’70, il cui istinto per la parata impedisce di veder volare qualsiasi cosa senza provare ad afferrarla. E tanti altri, ognuno con la sua piccola o grande stranezza fisica o caratteriale, ognuno con un soprannome appropriato, che formano un affresco di personaggi e situazioni degni del re dell’assurdo Samuel Beckett. Come in un moderno “Aspettando Godot”, infatti, viviamo nell’attesa dell’apparizione del famoso “Venditore di Pianeti”, mentre seguiamo l’Io Narrante in un viaggio semi-dantesco che lo porta in ferrovie abbandonate, campi di calcio, cimiteri e persino fogne abitate da corniciai, bambini coi baffi e pescatori di cefali.

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