Le notti di Reykjavik



Arnaldur Indridason
Le notti di Reykjavik
Guanda
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Nell’ormai ricco filone dei gialli nordici, Arnaldur Indridason rappresenta “Le notti di Reykjavik” per il tramite di Erlendur (“Soltanto di notte si sentiva in armonia con la città, quando le strade erano finalmente silenziose e deserte e si udivano solo il vento e il rombo sordo del furgone”): un agente che – per un misto di compassione, desiderio di verità e volontà di far quadrare intuizioni personali – si occupa in modo irrituale (“Rebekka mi ha detto che lei è un agente semplice e non sta indagando in veste ufficiale”) della scomparsa di una donna e di una morte sospetta.
Proprio nei giorni della sparizione di Oddny, Erlendur è infatti calamitato da un altro evento che scuote la cronaca nera islandese: nella torbiera alcuni ragazzini ritrovano il corpo di un clochard (“Erlendur si era occupato di quell’uomo molte volte, nei primi mesi in cui aveva lavorato alla Stradale. Si chiamava Hannibal ed era una senzatetto”),  già vittima di un precedente episodio d’intolleranza (“Poco prima di morire, l’uomo aveva raccontato che qualcuno aveva cercato di dare fuoco allo scantinato in cui abitava”).
Attraverso le indagini condotte presso i senzatetto, interrogando una strana coppia di fratelli dediti a loschi traffici e i familiari di Hannibal, l’agente si convince che il poveretto sia perito per mano altrui. Il ritrovamento di un gioiello nel luogo ove Hannibal dormiva  (“Erlendur seguì i sentieri fra le torbiere e salì verso la conduttura del teleriscaldamento”) sembra connettere la sparizione di Oddny e l’omicidio del senzatetto..
Nella toponomastica infarcita di strane lettere (come la  ð dell’antico norreno, che corrisponde al digramma th dell’inglese), nelle notti trascorse tra la centrale o la pattuglia, tra esami etilometrici e a contatto con uno stuolo di infelici che ricorrono all’alcol denaturato delle farmacie per placare gli assalti di un flagello terribile (“Per me la cosa peggiore sono le gocce al cardamomo”), è possibile ritrovare nelle pagine del romanzo un’umanità palpitante che increspa l’atmosfera gelida dell’isola ove – in prossimità del circolo artico – trovano sfogo anche i soffioni d’acqua

Bruno Elpis

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