Mariuccia e una questione di rose – Mino Milani



Mino Milani
Mariuccia e una questione di rose
Effigie
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Scrittore narratore senza etichette non debitamente considerato dalla critica, Milani è autore di romanzi polizieschi, storici, di fantascienza, fantastorici, di guerra, d’amore, di fantasmi e misteri, per ragazzi, sceneggiature di fumetti. Questo è il ventesimo (più o meno) della serie con Melchiorre Ferrari commissario dell’Imperial Regia Polizia Asburgica, pubblicato come i precedenti da Effigie di Giovanni Giovannetti, piccolo valoroso editore e grande fotografo. Siamo a metà circa dell’Ottocento a Pavia, città universitaria percorsa da fremiti risorgimentali, ma Ferrari, pur simpatizzando per l’Unità, non si occupa di politica, bensì di liti fra coniugi, risse con accoltellamenti fra ubriachi, furti, contrabbando di riso e vino, una “sorta di bestiario umano fatto di gente malvivente e malvissuta”. Ogni tanto ci scappa il morto.

Il libro si compone di due racconti: nel primo Mariuccia, una popolana sveglia e ancor piacente, denuncia che il marito vuole ammazzarla e quando muore strangolata il caso sembra risolto, ma a Ferrari qualcosa non torna…Contemporaneamente muore d’infarto un ricco possidente che ha seminato tutt’intorno amanti, per cui si scatena una caccia all’eredità. Il racconto breve nei suoi due volti di tragedia e commedia introduce alla scenografia sociale della città, alla sua gente, al paesaggio.

Nel secondo racconto molto più lungo e articolato a rubare la scena inizialmente è la marchesina Gulminetti detta la Pellegrina, bellissima, seduttiva, altera, che desta scandalo in città perché si è iscritta a medicina e vuole laurearsi in chirurgia (la prima a Pavia), e quindi assiste alle dissezioni e soprattutto – scandalo nello scandalo – indossa pantaloni (alla zuava). Ferrari, cui viene chiesto di porre fine a quella “turbativa dell’ordine pubblico”, però, nulla può fare, se non tentare (inutilmente) una moral suasion, perché la legge vieta sì l’iscrizione delle donne a medicina, ma manca il regolamento (oggi si direbbe i “decreti attuativi”). Ma questa è solo la scintilla che fa deflagrare l’incendio, quando uno studente innamorato che inonda la marchesina di rose bianche muore in circostanze misteriose su cui passo dopo passo il commissario comincia a fare luce. Almeno sul come; ma il perché? Il duello con un ufficiale austriaco è avvenuto per un banale alterco al caffè o per i begli occhi della Pellegrina o per insospettabili motivi politici? Finché sul più bello interviene l’autorità militare che avoca il caso (la vocazione all’avocazione ha una lunga tradizione) e taglia fuori Ferrari. Al quale prima è stato chiesto di cercare la soluzione e poi di scordarsene, ma ora è la soluzione a cercare lui. E il movente? Una questione di rose, e non solo.

Fernando Rotondo

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