MilanoNera incontra Katharina Kubrick.

47680770_1978620265589695_2357730436102225920_nDurante il Noir in Festival la redazione di Milano Nera ha avuto il piacere di porre tre domande a Katharina Kubrick, figlia del regista Stanley Kubrick.

Sono state dette molte cose su e di Stanley Kubrick, lei cosa ci può dire del rapporto con suo padre come uomo, lontano dalla leggenda che è stato?
Per mio padre il cinema e la famiglia erano sullo stesso piano. Lavorava a casa, gli piaceva dormire nel suo letto, stare con sua moglie, con le sue figlie, i suoi cani, i suoi gatti. La vita di famiglia era molto importante, eravamo fuori dagli standard di Hollywood. Non siamo stati mandati in collegio, vivevamo a casa insieme e il momento più importante della giornata era la cena che trascorrevamo tutti assieme.
Era molto coinvolto nelle nostre vite. Talvolta si intrometteva un po’ troppo, come tutti i genitori. Meno male che quando ero una ragazzina non c’erano i cellulari, altrimenti ci avrebbe tormentato chiedendo in continuazione: “dove sei, con chi sei, dove vai, a che ora torni …”.
Era semplicemente nostro padre.

Da artista ad artista. Lei è una pittrice e, oltre ad aver recitato per suo padre, alcuni dei suoi quadri si possono vedere in Eyes Wide Shut. Cosa ne pensava della sua vocazione artistica? Le ha mai dato qualche suggerimento su come coltivare le sue passioni?
Sì, era molto contento che io fossi un’artista e gli piacevano i miei quadri. Fra l’altro ho avuto la soddisfazione che lui abbia deciso di usare uno dei miei quadri sul set di Eyes Wide Shut. Comunque, la cosa più carina è che – molti anni prima che esistesse Amazon – c’era un libro di una pittrice che mi piaceva molto e mi sembrava che i miei dipinti assomigliassero molto a quelli che dipingevo io. Gli avevo chiesto se poteva procurarselo e, quando me lo ha dato, dentro c’era un piccolo post it con scritto: “il tuo lavoro è molto molto migliore e molto più interessante. Con amore. Papà.”
Gli piaceva avere attorno la sua famiglia. Quando è morto, questo grande ombrello protettivo che tutti noi avevamo se n’è andato con lui. Era lui che ci proteggeva dal mondo esterno, dalla stampa che poi si è scatenata scrivendo cose assolutamente insensate. Che era un misogino, era pazzo, era una persona possessiva…
Noi pensavamo ma di chi stanno parlando? Il documentario di Jan Harlan contiene molte cose che non sono vere e il mio compito è quello di correggerle.

2001 Odissea nello spazio. Pensa sia azzardato paragonare l’incontro del film con le nuove generazioni con quello del misterioso monolite nero con i primati? D’altronde, usa un linguaggio “diverso” da quello odierno.
È una buona analogia. Sì, la prima volta che si vede 2001 Odissea nello spazio – anche se non lo si capisce appieno – suscita una reazione proprio viscerale, di pancia. Ci sono delle cose che sono oltre la nostra comprensione. È una pellicola filosofica in cui si raccontano i primordi dell’umanità ed è un omaggio a ciò che non può essere conosciuto. Tutto sommato direi che si tratta di un film ottimistico, anche se mio padre era assolutamente pessimista sul destino dell’umanità, pensava che fosse condannata e, in effetti, anche se siamo nel 2018, c’è ancora violenza e continuiamo a darci dei colpi in testa.

MilanoNera ringrazia Katharina Kubrick per la piacevole chiacchierata.

Mirko Giacchetti

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