Molto a sud di Stoccolma



Alessio Schiavo
Molto a sud di Stoccolma
Fernandel
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“Sentito il fischio del treno, quella sera eccezionalmente puntuale, sapevo che avresti impiegato circa tre minuti a spingerti fino a me. Ciò che non sapevo era se allora saremmo stati soli: per quanto poco frequentata, via Matteotti non garantiva l’assenza di passanti; ce ne fossero stati, avrei dovuto desistere… Non c’è stato nessuno, naturalmente. Tuttavia, ascoltando il tuo avvicinamento, ascoltando senza guardare, sbirciando a stento attraverso la siepe, ho quasi creduto che un passante, uno generico, lo fossi tu. Ho trattenuto il fiato.  Per avere ragione di te mi occorreva un ausilio. Procurarmelo è stato complesso. Ha richiesto innanzitutto che mi documentassi, per individuare con precisione il nome della sostanza, del prodotto – per quanto documentarmi mi sia congeniale, preferisco ampiamente avvalermi di libri cartacei, anziché di internet.”
Destinataria di queste minuziose e meticolose informazioni giornaliere, sarà per lungo tempo una ragazzina adolescente, rapita dalla stessa persona che sino alla fine del sequestro, manterrà l’ambiguità sulla propria identità (uomo o donna?) per portare a compimento un piano lucido, ma che abbisogna di interfacciarsi con il punto di vista introspettivo della ragazzina, per trovare la necessaria forza di metterlo in atto.
Il rapimento avviene in provincia, dove tutti si conoscono, nei giorni che precedono la festa di Halloween. La ragazzina viene    stordita e caricata su un furgoncino. Si risveglierà in una stanza asettica e chi l’ha rapita si premura di non farle mancare nulla, seppure doserà con cura maniacale ogni singolo prodotto che le fornirà, per evitare che lei possa tentare di farsi del male o ribellarsi.
Cibo, vestiti, biancheria, bagnoschiuma, shampoo, perfino la musica e la lettura di Dracula. Un sequestro anomalo, che non prevede richiesta di riscatto. La gente si mobilita, organizza una fiaccolata. Chi ha rapito e ha preso parte alla fiaccolata e ha ascoltato i discorsi degli amici della ragazzina, decide di scrivere una lettera ai genitori di lei. E, ovviamente, glie ne dà notizia.
“Naturalmente, in essa non circostanzio: affermo che sei trattenuta contro la tua volontà – contro, almeno sinora; che, fosse dipeso da te, saresti già tornata a casa o, almeno, avresti già fornito tue notizie; che i tuoi sentimenti nei loro confronti permangono immutati, che anzi, laddove per qualunque motivo non siano pienamente positivi, al tuo ritorno, perché il tuo ritorno è indubbio, saranno migliorati; che chi ti trattiene, lo fa con rispetto assoluto, che ti custodisce come un religioso una reliquia – utilizzo proprio questa metafora. Tutto ciò ritengo che rispecchi la realtà e che tu, adesso, pur senza entusiasmo, lo confermeresti.”
Un romanzo breve, intenso nel linguaggio che pagina dopo pagina introduce il lettore nel mondo alienante di chi rapisce, un mondo fino troppo vicino a noi, ai nostri moderni ritmi, alla  solitudine dell’anima a cui spesso ci condanniamo. 
La persona che ha rapito è dotata di notevole gusto ed equilibrio interiore, non manca in alcun modo di rispettare la ragazzina e la sua intimità, ma con la quale non scatterà certo la Sindrome di Stoccolma, anzi l’adolescente tenterà spesso di attirare l’attenzione per farsi liberare, quando il postino suona alla porta di chi la tiene in ostaggio.
Da qui il titolo del romanzo.
Indubbiamente una prova d’autore originale, ben lontana dagli impianti narrativi di altri romanzi i cui registri narrativi cedono a ritmo e adrenalina e magari sacrificano l’introspezione dei personaggi. Qui, al contrario, veniamo coinvolti in lungo, disperato viaggio nell’animo umano che si snoda nell’Italia dei giorni nostri, sotto i nostri stessi occhi, ma forse siamo diventati tutti troppo ciechi per vedere e riconoscere il malessere che ci viaggia accanto. Non cogliamo le grida di aiuto. Siamo diventati pendolari della nostra stessa vita a cui sopravviviamo giorno dopo giorno, sembra ammonirci l’autore, tra la voglia di continuare e la paura di non trovare la forza di ricominciare giornate troppo grigie e troppo uguali a migliaia di altre.
E solo alla fine di quel percorso vittima e carnefice troveranno entrambe la propria meta.  E ognuno andrà per la propria strada.
“È giunta l’ora di andare” direbbe Socrate.

Roberto Mistretta

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