Via libera – Lorenzo Scano



Lorenzo Scano
Via libera
Rizzoli
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E succede che gli saltano addosso in quattro e lo prendono a pugni e a calci e Lavinia a gridare, a urlare bastavipregosmettetela, ma niente, quelli lì si divertono un mondo, e a un certo punto a Kamel viene un’idea, e l’idea è che lo trascinano per il piazzale come un sacco di patate e lo issano sopra il parapetto di cemento e lo mettono a testa in giù, e ci sono dieci metri tra il tetto e il piazzale sottostante, e Paoletto grida, grida come un pazzo e si piscia addosso, e Kamel e i suoi amici a ridere, e nel preciso momento in cui Lavinia tira fuori l’iPhone per comporre il numero dei carabinieri, Paoletto scalcia e colpisce in faccia uno dei due ragazzini che lo tengono, e quello di riflesso molla la presa, e inavvertitamente, per il troppo peso, la molla anche Kamel, e… Piange, Lavinia, piange con le mani in faccia e la testa incassata tra le spalle. Caduto… Paolo è caduto…
Non potevo esimermi di farvi entrare, per quanto è possibile con solo poche righe, nella scrittura di Lorenzo Scano che con il suo ultimo romanzo pubblicato da Rizzoli mette un punto ben preciso e definitivo alla definizione di talento letterario che lo accompagna da qualche tempo. Le avvisaglie c’erano tutte, si sapeva già che prima o poi Scano avrebbe fatto “la fine” di Carlotto e Pulixi. Era solo questione di tempo, di maturare ancora, giusto un pochino, e arrivare finalmente a Via libera, un noir di una potenza straordinaria che amalgama in maniera mirabile società e disagio interiore, sogni da grandeur e periferia popolare, rabbia repressa e desiderio di rivalsa. 
C’è tutto un mondo nel romanzo di Scano che ricorda la fame dei giovani immigrati italiani nella New York dei primi del ‘900, il luccichio dei riflettori che abbagliava i ragazzi degli anni Ottanta e il fallimento della famiglia borghese nella società del benessere e del consumismo. 
Solo che in Via libera non c’è New York ma Cagliari, la parte brutta, per citare un noto film inglese di qualche anno fa, e i ragazzi di quella parte brutta che vivono solo per potersela lasciare finalmente alle spalle e che in questo lavorio spasmodico finiscono solo per peggiorare le loro esistenze e trascinarsi dietro anche quella di un giovane come loro che invece avrebbe potuto avere tutto, ma che decide scientemente di fare il balordo di periferia e sfinirsi di coca.
Sarebbe troppo riduttivo, davvero, definire a questo punto il romanzo di Scano solo un noir che parla di adolescenti allo sbando e “ragazzi fuori” perché tutte le azioni, le decisioni, i moti dell’animo di questi ragazzi hanno radici e origini più profonde e più lontane della loro attuale esistenza; frutto di scelte o destini che neppure dovrebbero appartenergli e che invece gravano sulle loro giovani vite come una punizione da ereditare alla pari del colore degli occhi o della forma degli zigomi. 
Scano scrive un romanzo nero e profondo da cui non ci si riesce a staccare e che lascia i lettori atterriti per la veridicità delle descrizioni, per l’intenso ritmo della narrazione e per le ambientazioni che non permetteranno mai più, a chi non l’ha mai vista, di pensare a Cagliari solamente come una assolta città di mare. 
E c’è un’ultima cosa che ai lettori non può sfuggire: la maturità di scrittura e di pensiero di un autore giovanissimo che alla soglia dei trent’anni riesce a dare vita a un romanzo potente, completo, maturo. Un noir senza sbavature in grado di stare accanto ai lavori dei nostri maestri più apprezzati. 

Antonia del Sambro

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