Alberto Garlini da sedici anni scrittore e curatore del Festival letterario Pordenone sei nato a Parma ma vivi a Pordenone e secondo le tue dichiarazioni da quando avevi quattordici anni, in base a idee “sbagliatissime”, vuoi fare lo scrittore. Mi pare una scelta coraggiosa, ma azzeccata perché lo sai fare.
Be’, ti ringrazio
Nel tuo ultimo romanzo Il fratello unico uscito per la Mondadori, hai deciso di passare al genere “giallo”. Giallo assolutamente classico, colto, pieno di citazioni letterarie di genere e non, ben scritto e piacevolmente infarcito di lucido pragmatismo. Perché questa tua scelta?
Fin da bambino sono stato un appassionato lettore di gialli, cresciuto divorando Ellery Queen e Nero Wolfe. Mi piaceva il gioco d’intelligenza che si creava col lettore, la possibilità di essere messo nelle stesse condizione del detective e quindi di poter giungere prima di lui alla soluzione. Era bello, e anche confortante, per un bambino, credere che la forza del ragionamento logico del detective potesse risolvere anche casi che toccavano il torbido dell’animo umano. Penso che il successo mondiale di Sherlock Holmes derivi proprio da questo: Holmes riesce a ridurre alla ragione anche le paure più profonde. In seguito, crescendo, ho conosciuto anche le altre forme del giallo, per esempio il noir, dove la soluzione è sempre più grigia e si porta a casa di meno. Ma il mio amore è sempre rimasto per il giallo classico anglosassone, con una deviazione sostanziosa in Francia, con Simenon e Maigret. Il problema per molto tempo, è che non mi sono mai reputato capace di scriverne uno, e molto umilmente sei anni fa ho cominciato a provarci. Ne ho buttati via tre, e questo è il primo che mi sembra di meritare di essere pubblicato. È proprio il giallo che volevo scrivere, e mi sono divertito tantissimo.
La storia prende il via dalla scomparsa di Bernardo, appartenente a una abbiente e altolocata famiglia parmigiana. Una delle sorelle di Bernardo affida il caso a Saul Lovisoni, uomo molto ricco sia di famiglia, sia per aver pubblicato un best seller internazionale, ex poliziotto, ora investigatore privato molto particolare. Abitudini, atteggiamenti e altro di Saul che mi ricordano un certo Sherlock Holmes. E invece quelli di Margherita, la sua aiutante, l’eroina nordica di Larsson. Potremmo definire allora Il figlio unico un’attualizzazione scenografica del giallo classico?
Non so, ogni romanzo è una attualizzazione di forme del passato, le storie d’amore sono più o meno tutte uguali. A me piacevano i gialli classici, come ad altri i romanzi storici, forse si potrebbe dire di tutti i romanzi storici che sono attualizzazioni di Ivanhoe. Oppure dell’Iliade, che a rigore dovrebbe essere pure lei un romanzo storico. Alla fine non ho pensato molto a cosa facevo, ho fatto quello che mi divertiva.
Mi pare, leggendoti, che tu preferisca il giallo al noir. Se sì, perché?
Francamente faccio molta fatica a distinguere il giallo dal noir. Il giallo in sostanza è un poliziesco che ha avuto l’avventura di essere pubblicato nei gialli Mondadori. I gialli Mondadori pubblicavano sia Ellery Queen, che oggi si considererebbe un giallo, che Ruth Rendell, che invece oggi sarebbe un noir. Ma io non vedo un gran differenza. Da un certo punto in poi mi sembra che noir abbia sostituito il giallo nel senso che uno scrittore che aveva pretese letterarie preferiva dire di scrivere noir che gialli. Il giallo sembrava una clausola troppo di genere, qualcosa di troppo pop. È vero che nel noir la presenza del male è forse più urgente che nel giallo, ma non so davvero. Se c’è un enigma o un mistero, se c’è un detective per me son tutti gialli, o tutti noir, o dei gialloneri come le api. Non sono schizzinoso.
Molto intrigante il contrasto esistenziale tra Saul e Margherita. Due personaggi che parrebbero agli antipodi e invece… Quali sono i punti che li accumunano maggiormente?
Hai ragione sono agli antipodi. Lei è vitale, focosa, etica. Lui è una specie di larva intelligentissima, un uomo che ha deciso di seppellirsi in vita, e che ha proprio bisogno di una ragazza come Margherita per riprendersi. In un certo senso margherita è la terapia di Saul.
L’accoppiata Saul Margherita, mi pare assolutamente indovinata. Pensi di farla tornare? Quando?
Ho già scritto un secondo episodio, che dovrebbe uscire in aprile, salvo cambiamenti editoriali dell’ultimo minuto. In questo secondo episodio sviluppo meglio i caratteri dei miei protagonisti, e avrà un tema di più stretta attualità e cioè quello del razzismo. Ma visto che Saul risolve i casi con la narrativa si parlerà appunto di narrativa del razzismo.
Tu sei parmigiano di origine e stavolta hai scelto Parma come palcoscenico della tua storia gialla. Per le tante antiche storie che aleggiano sulla Farnesiana capitale?
Sono nato a Parma e ho cominciato ad amare quella città e la sua provincia fin da bambino. Credo che ci si senta veri solo in una piccola porzione di terra, e la terra dove io sono vero è la discesa che porta dal parco Nevicati fino alle scuole di Collecchio. I cortili di via Combattenti. I pomeriggi estivi immobili al campo sportivo. Cosa resta di noi, se non questa sensazione di essere adeguati e nello stesso tempo a disagio, in un luogo che ti ha formato la memoria?
Parma poi a parte essere un luogo dell’affezione persona, è anche una città piena di storie tragiche, spietate e sognanti. Sembra che la pianura a differenza della montagna non possa nascondere nulla. È tutto piatto, non ci sono caverne o ostacoli verticali. Ma non è vero, la pianura, nella sua metafisica, è il luogo dove l’orizzonte si perde in lontananza, dove non c’è mai qualcosa di vicino. È tutto visibile ma è tutto lontano. E poi nella pianura c’è la nebbia. La nebbia che quando ero bambino, negli anni Settanta, si piantava sulla città come una cappa indelebile. Dove quando si guidava si faceva come i ciclisti, uno tirava e gli altri seguivano, e poi ci si dava il cambio. Questo romanzo mantiene un po’ dell’amore che provo per questa terra, e cerca di raccontarla con la chiave del mistero.
Secondo te qual’è il segreto del successo di vendita (in Italia si fa per dire) delle fiction?
Credo che si scriva molta roba buona e leggibile, e questo non è per nulla scontato
In Italia stiamo vivendo tempi elettorali dominati dall’attacco: “sparate ad altezza uomo”. Tempi simili a quelli vissuti in Francia prima dell’ultima tornata presidenziale. Le carte in tavola sono abbastanza diverse da quelle dei cugini d’oltralpe. Quali prospettive ti senti di azzardare? Dominerà il buon senso incanalato nel tanto peggio tanto meglio, oppure?
La speranza ovviamente è che vinca il buon senso. Il problema è che ci sono molti buonsensi in competizione fra loro. Mi pare, e questa è una novità qui in Occidente, che si aprano dei nuovi scenari violenti. Sul tema avevo scritto un libro alcuni anni fa, la legge dell’odio, in cui cerco a descrivere dall’interno un soggetto antropologico politicamente violento, in particolare un estremista fascista. Mi sono dato molto da fare, perché lo sentivo un problema impellente, e quello che in un certo senso avevo profetizzato sta avvenendo. Spero di sbagliarmi ovviamente.
Una domanda fuori tema “Pordenone legge” si è trasformata in una realtà molto interessante nel panorama letterario italiano, e anche molto impegnativa credo. Quanto tempo sottrae l’attività di curatore a quella si scrittore?
È in effetti molto impegnativo, ma per fortuna sono due attività che posso gestire con una certa elasticità. Credo di essere fortunato.
Sempre fuori tema, ma visto che ci incontreremo Suzzara per il Nebbia Gialla, quanto è pagante realizzare un Festival in una città a dimensioni umane come Pordenone? Vuoi fare paragoni tra queste due realtà?
Credo che la grandezza della città influisca positivamente. Pordenone, come mantova, ha 50.000 abitanti, questo vuol dire che l’impatto fisico e emozionale del festival durante i 5 giorni si avverte con forza. 300 eventi e più di 500 ospiti non passano inosservati, e questo crea un effetto energetico di grande portata. Anche nebbiagialla mi pare un festival molto riuscito, se ne parla bene e si sta anche bene, per cui sono felice di parteciparvi
E ora per forza la solita ultima domanda scontata. Programmi futuri di vita e altro?
Ho un libro in testa, forse il più importante che mi capiterà di scrivere, per cui mi ci sto avvicinando piano piano anche se con flussi a volte inarrestabili, che mi lasciano di stucco. Sono un po’ commosso, un po’ ansioso e un po’ cinico, come sempre quando si tenta qualcosa di impegnativo.
Grazie a Alberto Garlini per la disponibilità
L’appuntamento con Alberto Garlini e Il fratello unico
è a Suzzara (Mn) al Festival Nebbiagialla
2/4 febbraio.
Tutte le info al link Nebbiagialla