Parlare di Omar Di Monopoli senza tirare il ballo William Faulkner sembrerebbe compito improbo.
Due nomi spesso accostati, ma che non rendono giustizia alla personalità ormai debordante dell’Autore di Manduria, che sulla lunga distanza dimostra di avere una penna già da tempo svincolata dall’illustre collega di New Albany.
Laddove, invece, si intendesse cercare analogie o attinenze, beh, quelle non si possono che trovare nei luoghi e non negli autori.
Sì, perché il rettilineo che congiunge Taranto a Brindisi è una sorta di polverosa Road 66, arsa come le gole di protagonisti, secca come un colpo di arma da fuoco, tale da condurci non tanto nell’America di Horace McCoy, quanto nello zotico Messico cinematografico di Robert Rodriguez, intinto in quel calamaio scarlatto con il quale Frank Miller inzacchera i suoi bianchi e neri.
È una terra infuocata quella dipinta sullo sfondo di una trama in cui i personaggi divengono archetipi antropologici di raro spessore e bellezza, da un vecchio pescatore improvvisatosi santone, passando per la schiera di malavitosi locali, fino ad arrivare alle ombre celate sotto il velo di una badessa, vero cardine di una fiction su carta, che agilmente potrebbe prendere una deriva, se non cinematografica, per lo meno fumettistica, tanto il lavoro dell’Autore appare contiguo ad una vera e propria sceneggiatura.
Il tutto dipinto con un lessico limato quanto basta per mantenersi acuminato, ma mai artatamente costruito; certamente sincero come un pugno in faccia ben assestato.
Adelphi confeziona un prodotto ottimamente curato sia sotto il profilo contenutistico con un editing che rasenta l’eccellenza.