L’oleandro bianco è una pianta velenosa, per uccidere un uomo sono sufficienti solamente poche gocce del suo veleno. In “Oleandro bianco” (un milione di copie vendute negli Stati Uniti), Janet Fitch racconta con uno stile intenso e metaforico pur raccontando situazioni estremamente reali, che anche l’amore può uccidere, annientare, perfino quel genere d’amore speciale ed esclusivo che lega madre e figlia. Ingrid è una scrittrice che coltiva il culto della propria persona, innamorata di se stessa e della propria bellezza al punto da sacrificare anche il bene della figlia, vittima consenziente del suo egocentrismo e megalomania. Quando, a causa dell’omicidio di un ex amante che la rifiuta, Ingrid è condannata alla prigione, per la figlia Astrid inizia un calvario attraverso istituti per minorenni e famiglie in affido. Un viaggio pieno di difficoltà, ma indispensabile per liberarsi dall’ombra minacciosa e sempre presente della madre che anche dal carcere cerca di tenere sotto controllo e influenzare le scelte della figlia. Passando attraverso esperienze a volte umilianti, la ragazza comincia a vedere la madre sotto una luce diversa. Non più un modello perfetto da imitare, l’unico punto di riferimento a cui rivolgersi in ogni situazione, bensì la donna egoista e crudele, non vittima, ma carceriere. “Oleandro bianco” è un concentrato di emozioni forti e sentimenti spinti all’eccesso, una storia che tocca questioni scottanti e d’attualità come la violenza sui minori, l’affido e la complicata gestione dei rapporti tra genitori e figli. Dal libro è stata tratta una versione per il cinema diretta dal regista inglese Peter Kosminsky e interpretata da una meravigliosa Michelle Pfeiffer che nonostante l’insolita, per lei, veste di cattiva non riesce a farsi odiare dal suo affezionato pubblico.