Pozzoromolo



luigi romolo carrino
Pozzoromolo
meridianozero
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I mesi scandiscono i capitoli di Pozzoromolo, ognuno preceduto da una breve poesia. Ne mancano tre, quelli che Gioia, creatura ibrida ricoverata in un manicomio criminale, trascorre legata con le cinghie a un letto di contenzione dove cerca di dar corpo ai ricordi della sua vita. Molta confusione nella sua mente, non ricorda cosa l’ha portata lì.
Parlando di sé si esprime al maschile per i ricordi più lontani e al femminile per i periodi più recenti. Bambino non voluto, sballottato tra genitori e nonni, abusato e seviziato con punture di spilli nelle mani ha un disperato bisogno di affetto e un unico ricordo felice delle mattinate di un agosto trascorse al mare con Saverio, temporaneo amante della madre, l’unico che lo abbia amato incondizionatamente senza un perché.
Troppo impegnati a coltivare il tabacco i nonni, troppo assente il padre e troppo presa dagli uomini che si succedono nella sua vita la madre. La cronologia dei ricordi si dipana attraverso date improbabili, nomi che affiorano da tempi e luoghi diversi.
Colpisce la mancanza totale di amore nei rapporti tra i personaggi contrapposto a quello totale e morboso di Gioia per la madre che lo porta a cercare di assomigliarle, indossandone gli abiti, le scarpe e i trucchi.
Non si ribella alle attenzioni morbose dello zio Giggino, riesce persino ad amare Mario, l’uomo che la fa prostituire e le spegne le sigarette addosso. Una scrittura raffinata e cesellata quella di Carrino, che incalza man mano che i ricordi riaffiorano e si fanno più densi.

Una scrittura che avvince e incuriosisce, con la ripetizione delle parole per rafforzarne il significato con alcuni tratti di poesia pura. Una storia di degrado e di follia, un noir involontario da leggere lentamente e da gustare.

ambretta sampietro

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