“Scrivere un romanzo corale noir è una grande opportunità.” Youthless. Fiori di strada – Intervista agli autori

Youthless. Fiori di strada, Harper Collins Italia, è il romanzo corale scritto a 10 mani da Massimmo Carlotto, Pasquale Ruju, Alessandra Acciai, Patrizia Rinaldi e Massimo Torre che hanno accettato di rispondere, sempre a 10 mani, a qualche nostra domanda.

Credo che questa prima domanda torni frequente, però da lettrice non mi posso assolutamente esimere. Com’è nato il progetto di scrivere un romanzo a dieci mani e di questo tipo? Soprattutto, com’è avvenuta la scelta degli autori e come siete riusciti ad amalgamare i vostri stili, tanto da rendere la scrittura come fosse l’opera di un singolo?
Scrivere un romanzo corale noir è una grande opportunità: si rivedono le scritture dei singoli e la disponibilità a mettersi in gioco, ad accordarsi a un racconto collettivo. È un input che spinge a non arroccarsi sui propri temi e sul proprio linguaggio, ad accogliere altre prospettive narranti. Il progetto nasce da queste premesse, dalla voglia di scrivere un romanzo noir che ci contenesse ma che al contempo ci superasse. La scelta dei compagni di scrittura è avvenuta con naturalezza: ci conoscevamo, quasi con tutti,  e ci piaceva il modo di lavorare di ognuno. 

Rendere le scritture come opera di un singolo è stata la sfida maggiore, il rischio che volevamo correre. 

Camilla, Léa, Claudia, Anna, Teresa, Rachida, sono ragazze in fuga. Ragazze difficili, rotte. Che con la forza della coesione riescono a scappare ai loro carnefici. Chi sono, in realtà, queste giovani? Chi vi ha ispirato questi personaggi?

Le ragazze in fuga raccontano il fenomeno sociale dei tanti minori che scappano e di cui spesso non si hanno più notizie. Ogni giorno in Italia vanno via, quasi sempre senza lasciare traccia, trenta  persone minorenni. Nel primo quadrimestre del 2022 sono scomparsi 3.589 minori: 2.409 stranieri e 1.108 italiani (dati ANSA). 

Camilla, Léa, Claudia, Anna, Teresa, Rachida, e anche Stella, fanno parte di questa folla di fuggitivi minorenni, che abbandonano un domicilio noto per i più disparati motivi: abbiamo cercato di dare voce a chi non ce la fa più e scappa. Per noi queste ragazze sono reali, hanno tratti riconoscibili; si possono incontrare ovunque, sono fiori di strada. 

Nell’opera si legge un intento di denuncia sociale, nei confronti della corruzione che purtroppo raggiunge tutti gli ambiti. In questo caso, le forze dell’ordine che dovrebbero proteggere i minori, sono il nemico. È forse un monito per ribadire che la realtà può essere di gran lunga peggiore di qualunque fantasia?

Tutte le persone che avrebbero dovuto prendersi cura delle ragazze non solo non le hanno protette, ma le hanno anche danneggiate gravemente. Nel romanzo compaiono anche adulti che vorrebbero aiutarle, per esempio il commissario Pavan, ma Camilla, Léa, Claudia, Anna, Teresa e Rachida non si fidano: i loro vissuti ingombranti e scabrosi non glielo consentono. Le ragazze impareranno a contare solo sulla loro voglia di salvarsi insieme. 

Forse la realtà può essere peggiore della fantasia. Di sicuro i nostri ragazzi, anche quelli che restano, hanno ereditato una realtà che spesso impedisce la fantasia, quella bella, che serve alla possibilità di cambiare da soli il destino imposto da altri. 

Le campagne del Veneto, poi la bassa ferrarese, passando per le Marche e giungendo in Calabria. Punti importanti, geograficamente parlando. Quale significato avete inteso dare a questo viaggio?

Il viaggio è la strada che le ragazze fanno, non solo geograficamente: ogni tappa le trova più unite, più capaci di mettersi in relazione tra di loro. Ritrovano lungo il cammino della fuga sprazzi di adolescenza, battibecchi, amori e ricordi. I sentimenti che provano si incatenano ai luoghi, alle case abbandonate, ai vagoni dei treni, al pulmino scassato, al mare, alla nebbia.  

Teresa è senza dubbio un personaggio che si discosta dalle compagne. Una guerriera, che ha un suo piano in testa, ben preciso. Che, senza niente togliere alle altre, non fugge passivamente a un passato che aborre, ma ha una parte attiva. È lei la leader, la ragazza da considerare propositiva per una svolta? Oppure se non ci si butta alle spalle un’ossessione, si finisce solo col diventare  violenti?

Teresa è forgiata nell’acciaio della sua condizione naturale. Insieme a Léa per motivi diversi si può definire una leader del gruppo. Sin dall’inizio ha un obiettivo ben definito, che persegue con determinazione. Non è la sola, anche Rachida ne ha uno. In un certo senso però è vero che si può definire vittima di questa ossessione. Per quanto forte sia non lo è abbastanza per mettersi alle spalle ciò che le avvelena l’anima. Per liberarsene. Non capita solo a Teresa, lo sappiamo bene…  ma almeno lei è un’adolescente, con tutte le attenuanti del caso.

Le ragazze sono sei. Ciascuno di voi ne ha “preso in carico” una? No, perché non tornerebbero i conti. Come vi siete divisi il lavoro?

Tutte e sei sono frutto di un lavoro di approfondimento e di messa a punto comune nella Writers Room. Nessuno ha preso in carico nessuna in modo particolare. Prima le abbiamo conosciute bene una per una e poi le abbiamo scritte. Per questo non abbiamo avuto difficoltà a farlo.

Giustina Rebellin, uno dei personaggi più odiosi mai creati. Però anche quel che si dice un ottimo cattivo della situazione, divinamente delineato. A chi vi siete ispirati?

A nessuno in particolare. Stava aspettando il suo turno che finalmente è arrivato… Giustina Rebellin è la mela marcia nel corpo della Polizia di Stato. Per età potrebbe essere la madre di ognuna delle ragazzette, ma al contrario è l’orco delle fiabe più nere. Giustina avrebbe dovuto proteggerle, prima come poliziotto, poi come donna, invece le lascia consapevolmente nelle mani del suo collega Marino che condivide con lei le stesse criminose perversioni. Solo non è alla sua altezza. La Rebellin ha una marcia in più. E’ diabolicamente intelligente. Abile a celare le proprie sembianze. Si è procurata il potere che le dà il suo ruolo e ne abusa il più possibile. Per fare ciò che profondamente desidera. Il male. L’abbiamo scelta proprio per queste caratteristiche. Che ne fanno il peggior nemico per le nostre protagoniste. 

Il commissario Pavan è combattuto tra il senso di vergogna, per quel che accadeva nella sua squadra e lui non ha visto, e la volontà di aiutare le fuggiasche. Credete che un personaggio così, animato da spirito paterno, possa avere commesso un simile errore? E se sì, quali potrebbero essere le cause? Ciascuno di noi è un mistero, che l’altro non arriva mai a conoscere? O è qualcosa di più radicato, in un sistema marcio di cui talvolta viene a galla solo la punta dell’iceberg?

Può accadere che personalità sociopatiche, sadiche e prive di sentimenti come Giustina Rebellin, e in misura minore il suo sodale Cristoforo Marino, siano bravissime a mascherare la loro indole, e a celarsi in contesti che permettano di esercitare una qualche forma di potere. A volte con discreto successo. Marino e la Rebellin sono considerati eccellenti poliziotti. Portano risultati, hanno all’attivo casi risolti, arresti, encomi. Pavan invece è uno sbirro di tutt’altra pasta, onesto, empatico, capace di comprensione e pietà. Per mestiere ed esperienza conosce il Male, ma il Male non gli appartiene, non è dentro di lui. È il motivo per cui, almeno all’inizio, Giustina è sfuggita alla sua attenzione. Non riuscirà mai a perdonarselo. Pavan crede nel sistema, e come tanti colleghi fa il suo dovere ogni giorno, convinto di stare dalla parte giusta. Ma un’anima nera come la Rebellin – coperta dai superiori per evitare un mare di fango – metterà a dura prova questa fiducia. Quanto a noi, possiamo solo farci le sue stesse domande. E sperare, con lui, che se mai un giorno avremo le risposte non siano tali da levarci il sonno. 

Quando si scrive un libro, c’è sempre un personaggio al quale si è più legati. Qual è il vostro?

In realtà, con il procedere del lavoro, tutti noi ci siamo ritrovati a legarci all’uno o all’altro personaggio, per poi cambiare e passare al successivo. Le ‘toste’ Teresa e Léa, la bellissima e fragile Domitilla, l’enigmatica Rachida, la debole Anna e l’impetuosa Claudia hanno preso una dopo l’altra un posto nei nostri pensieri, man mano che sviluppavamo le loro personalità, la loro forza e le inevitabili debolezze nel corso della storia. Parlandone fra noi, ci siamo resi conto che le amavamo tutte, amavamo il loro essere un gruppo, una squadra. E abbiamo amato accompagnarle in questo lungo viaggio. 

Mi pare che in questo romanzo gli adulti escano alquanto male. Avevate inteso instillare l’idea di un conflitto generazionale, oppure l’indifferenza e il tornaconto sono mostri subdoli e non hanno età?

Gli adulti – noi compresi – sono spesso distanti da un adolescente. E lui lo è da loro. È sempre stato così, anche nelle famiglie più unite. Quando poi parliamo di adolescenti costrette ai margini della società, alla delinquenza e alla fuga, la distanza diventa minaccia, sopraffazione, violenza. Abbiamo voluto illuminare quel conflitto nei suoi aspetti più duri, perché è inutile nascondercelo: la cronaca di ogni giorno descrive casi simili a quelli dei nostri personaggi, a volte perfino più crudeli. E se il tornaconto può diventare a volte motore di atrocità, è l’indifferenza, sicuramente, l’indifferenza degli adulti verso il futuro della prossima generazione, il mostro più spaventoso di tutti.

Più che sulla dinamica delittuosa, mi pare che il finale punti sull’amicizia. Un sentimento forte, che nessuna bruttura può spezzare. Un bellissimo messaggio, di cui abbiamo tanto bisogno. Torneranno, dunque, le nostre ragazze?

Corrono veloci. Se sapremo stare al passo, magari un po’ col fiatone, prima o poi scopriremo cos’altro avranno da raccontarci. 

MilanoNera ringrazia gli autori e Harper Collins Italia per la disponibilità

Cristina Biolcati

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