Se ancora non avete scelto il vostro libro per l’estate, vi consigliamo senza indugio questo romanzo-verità da cui è già stata tratta una piece teatrale, scritto da Vincenzo Rabito, contadino semianalfabeta, in quella che fu solo l’ultima delle sue tante battaglie, ovvero lottare con la macchina da scrivere, a corollario di una vita sempre vissuta e strappata coi denti ad un secolo infame. E alla fine dopo sette anni di fatica immane, ci riuscì. Questo libro è un autentico “miracolo” letterario: vincitore di un importante premio e recuperato con un severo lavoro di scrematura per condensare in sole 400 pagine, le oltre mille pagine scritte fitte fitte in un siciliano parlato ma capace di rendere immediato il racconto. Vincenzo Rabito di Chiaramonte Gulfi, classe 1899, rimasto orfano di padre in tenerissima età, secondogenito di sette figli, cominciò fin da allora a tribolare, cercando e trovando lavoro nei campi per sostenere la sua famiglia.
Sveglio e volenteroso, riusciva a sudare il pane necessario ma ben presto, fu chiamato al fronte e lo troviamo a combattere in prima linea contro gli austriaci tra i ragazzi del ’99. Preso prigioniero riesce a scappare e sventa un attacco nemico.
Combattente sul Piave, a guerra finita lo mandano a Firenze dove il fascismo comincia a mettere piede. Da sempre socialista, rientrato in Sicilia, si danna per trovare lavoro e prende la tessera fascista diventando così una camicia nera della prima ora. A seguito di un imbroglio, lo mandano a combattere la guerra d’Africa, conosce il governatore Graziani a cui strappa il permesso di restare lì a guerra finita. Lavorando tra animali feroci e deserti, mette da parte un buon gruzzolo, rientrato in Sicilia si sposa a quarant’anni ma la convivenza con la sua suocera è allucinante.
Richiamato in guerra allo scoppio del secondo conflitto mondiale, Rabito continua ad essere testimone di un mondo infame e misero, mettendo su carta pensieri semplici ma intrisi di profonda verità, pensieri che in fondo appartengono ad ogni uomo.