Torna il commissario Veneruso in Tutti si muore soli – Intervista a Diego Lama

Esce il prossimo 8 giugno in libreria “Tutti si muore soli” (Mondadori), l’ultima avventura dello stravagante commissario Veneruso, uscito dalla brillante penna di Diego Lama, napoletano verace, già vincitore del Gran Giallo Città di Cattolica e del Premio Tedeschi con lo stesso personaggio. 
Lo abbiamo intervistato per Milanonera. 

 Il commissario Veneruso, della polizia giudiziaria di fine Ottocento, nasce un pomeriggio d’inverno e fa il suo esordio nel racconto Le sorelle Corcione, cognome a lei familiare per vicende dolenti risalenti ai tempi del colera che attengono sue lontane parentele. Il racconto venne pubblicato nel 2014 sul Giallo Mondadori. Ricorda ancora quella nascita?
Sì, ricordo perfettamente il pomeriggio in cui iniziai a scrivere di Veneruso. Forse si annidava da anni dentro di me, anche se non lo sapevo. Sicuramente nella mia testa vorticavano i fantasmi e le storie di famiglia che mi erano state raccontate da bambino. Tra le tante vicende c’era anche quella del colera di fine ‘800 a Napoli che, in qualche misura, è stato l’artefice della mia stirpe, come ho raccontato nell’introduzione a “La settima notte di Veneruso”. Una storia lunga e piuttosto buia…

La descrizione che fa di Veneruso “grassoccio, pesante, stanco, sudicio, invidioso, triste, maleducato, di cattivo umore, ma assai sensibile e quasi buono”, è ben lontana dagli stereotipi degli investigatori del tempo. Quanto è complicato avere a che fare con un simile personaggio?
No, non è troppo complicato. Veneruso è esistito veramente, credo, anzi sono sicuro che a fine ‘800 a Napoli vivevano molti individui come lui, intolleranti verso la modernità, verso l’Unità, i giovani, gli stranieri, il Nord e con tutta una serie di difetti – molto umani – che appartengono a tutte le ere della storia dell’uomo, dall’invidia, alla pesantezza, alla maleducazione… Però Veneruso è anche un personaggio che risulta simpatico, per questo, forse, si ha voglia di seguirlo nelle sue indagini (ma soprattutto nei suoi malesseri e nei suoi odori): sono sicuro che il lettore pensa: “Meno male che non sono come lui!”

Il 2015 è l’anno è l’anno di Diego Lama e del suo commissario Veneruso, con tre racconti pubblicati sul Giallo Mondadori, la vittoria al Gran Giallo di Cattolica e la conquista del Premio Tedeschi col romanzo La collera di Napoli. Che ricordi ha di quell’anno incredibile?
Del 2015 ricordo soprattutto che è morto mio padre, forse a compensare le gioie letterarie… Scrivo seriamente da quando avevo trent’anni: vincere premi e avere riconoscimenti dopo vent’anni è stata una grande gioia, ma anche una sorta di strana liberazione.

In Tre cose, il racconto vincitore del Gran Giallo di Cattolica, Veneruso trova una ricchissima vedova con un coltello conficato in pancia e l’assassina rea confessa, la cameriera, che come un mantra continua a ripetere “Tre cose hai preso a me e io una cosa ho preso a te.” Immancabile il colpo di scena finale che ribalta le apparenze.  Come nascono i suoi racconti?
I racconti devono contenere un’idea forte, una forte ambientazione e dei bei personaggi. E poi devono essere semplici e lineari: tutti i racconti di Veneruso sono in piano sequenza, senza stacchi. Il tempo del racconto è poco più lungo del tempo di lettura. Poi ci vuole buona scrittura, guizzi e ritmo, non che io abbia tutto ciò, ma ci provo: studio e lavoro molto alle mie pagine anche se sembrano buttate giù di getto…

Il trionfo al Tedeschi con La collera di Napoli, tra tanti qualificati finalisti, dà respiro più ampio al commissario Veneruso e le dinamiche del romanzo le permettono di immergere appieno il lettore nella sua città, dove l’epidemia di colera del 1884 provoca migliaia di morti in appena due settimane. Ricorda la genesi di quel romanzo? Lei da buon architetto pianifica ogni cosa o da buon meridionale affida agli stessi personaggi l’evolvere delle dinamiche?
Ricordo esattamente la genesi: ho preso tutti i racconti di famiglia e li ho trasformati in un romanzo, poi ho aggiunto tutto quello che avevo studiato da architetto (e da appassionato di storia e di urbanistica) su Napoli, e ho mescolato tutto aggiungendo gli ingredienti del giallo, e cioè delitti, sospetti, assassini ecc. Ci tengo a precisare che il 70% di quello che viene raccontato nel romanzo è accaduto veramente a qualche componente della mia famiglia, il colera, la ruota dei bambini abbandonati, le suore di clausura… In ogni caso io pianifico con attenzione ogni scena del romanzo con molte scalette di vario tipo. Per me la trama è un progetto geometrico, anche se flessibile e in grado di trasformarsi ma mano che si va avanti nella scrittura. 

Lei ama la storia, colleziona antiquariato, si documenta molto con giornali d’epoca, conosce bene l’architettura della sua Napoli per il lavoro che fa e coniuga il piacere della scrittura alla sua funzionalità. Che tipo di lettore si immagina quando scrive?
Considerate le domande: un lettore come lei!

Il commissario Veneruso, lo ritroviamo ad indagare anche al museo archeologico di Napoli (Le natiche di Venere nell’antologia Delitti al museo), e sul treno del mito, (Lo strangolatore dell’Orient-Express nell’antologia Assassinii sull’Orient-Express).  Quali sono le difficoltà per uno scrittore di adattare il proprio personaggio al filo conduttore di un tema comune di un’antologia?
Anche qui ci vuole un’idea: io ho una venerazione per le idee, le idee nuove, le buone idee, e sto sempre a cercarle. Se c’è una buona idea (di trama) allora tutto il resto (che è poi la parte più difficile) viene di conseguenza. La fase d’incubazione dell’idea è sicuramente quella più lunga e meno razionale. Entrambi i racconti citati si fondano su due idee che – per me – potevano funzionare e che erano in tema col filo conduttore dell’antologia.

In Sceneggiata di morte, pubblicato negli Oscar Mondadori, secondo romanzo col suo protagonista, Veneruso indaga sul caso di Maddalena Portolano, ex prostituta, divenuta poi la convivente del ricco Raimondo Satriano con cui generò tre figli segreti. Un chiaro omaggio in chiave noir al grande Eduardo e alla sua opera più conosciuta: Filumena Marturana. Ce ne vuole parlare?
Filumena Martorano racconta di una prostituta che ha avuto tre figli, uno di essi da un uomo ricco al quale lei non vuole dire chi dei tre è il vero figlio suo… La commedia di Eduardo si regge tutta su questo, sui tentativi dell’uomo di scoprire chi è il figlio. Un’idea fantastica. Prima di metterci mano ho molto studiato e ho scoperto che forse l’idea originale viene da una vicenda giudiziaria di fine ottocento che Eduardo aveva trovato anni dopo acquisendo materiale narrativo da un altro commediografo emigrato in America. Si tratta di una storia lunga che nessuno conosce e che forse un giorno racconterò…

Veneruso, figlio del suo tempo, pur non avendo famiglia, coltiva da anni un rapporto quasi da marito e moglie con Annarella, tra tenerezze e rapporti a pagamento, visto che lei fa la prostituta in una casa di tolleranza molto discreta. Ha previsto un’evoluzione più stabile della storia per unire le loro solitudini?
Annarella rappresenta il massimo cui un uomo come Veneruso possa ambire. Lei è grassoccia, non più tanto giovane, volgarissima e corrotta, però gli vuole bene e sa prenderlo: “Il cazzo non vuole pensieri e non vuole delitti” gli dice tutte le volte che Veneruso (uomo sensibile e fragile) non riesce a dare corso alle marchette già pagate.

Salutiamoci raccontando qualcosa ai nostri lettori del terzo romanzo con protagonista il commissario Veneruso in pubblicazione nella collana da libreria Giallo Mondadori.  
Il romanzo si intitolerà “Tutti si muore soli”. La vicenda si svolge in un solo giorno – sabato 28 luglio 1883, il giorno del terremoto di Ischia (Casamicciola, 2.300 vittime) – dal crepuscolo alla notte fonda. Un lungo piano sequenza privo d’interruzioni: dalla prima pagina all’ultima il lettore è appollaiato sulla spalla di Veneruso e lo segue (davvero ovunque). In 20 ore, in 20 capitoli, il commissario risolverà il mistero del delitto alla Biblioteca Nazionale (ma anche altri due omicidi) entrando in contatto col mondo della cultura napoletana della Belle Époque di fine secolo (Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Francesco Mastriani, Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao), con il mondo della prostituzione e con quella della nobiltà. Scoprirà tante cose: anche che l’Unità d’Italia non ha sconfitto solo una nazione, ma ha ferito a morte una grande cultura e una straordinaria lingua. Il tema in filigrana di questa storia sono le parole, la morte delle parole, la morte di un idioma – il napoletano (una lingua, non un dialetto, provvista di lunga storia, di sua grammatica, di poemi, poesia, saggi, ricerche, canzoni e ancora parlata da milioni di individui) – uccisa dai suoi stessi parlanti e relegata alla classe debole in funzione della modernità (cosa che sta accadendo oggi anche all’italiano). Il terremoto finale (realmente avvenuto quel giorno del 1883 a Ischia) diviene la scossa che risolve il caso ma in qualche modo fa capire a Veneruso che la distruzione – delle parole, del regno, della gloria e del suo mondo – è da tempo avviata.


MilanoNera ringrazia Diego Lama per la disponibilità

Roberto Mistretta

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