Lasciami entrare



John A. Lindqvist
Lasciami entrare
marsilio
Compralo su Compralo su Amazon

Il luogo: Blackeberg.
Fa pensare a quei dolci rotondi di pasta di cocco, magari fa venire in mente la droga. Una vita decente. Si pensa alla metropolitana, ai sobborghi. Poi probabilmente non viene in mente nient’altro. Anche lì, come dappertutto, ci abita della gente. È per questo che il quartiere è stato costruito, perché le persone avessero un posto dove abitare. Non è un luogo cresciuto in modo naturale, no.

Non lasciamoci fuorviare dal tema “vampiresco”: “Lasciami entrare” è un horror che ha molti punti di contatto con i noir metropolitani e può essere letto con passione anche da giallisti attenti alle sfumature.
La trama ruota intorno all’amicizia tra una vampiretta infelice e un ragazzino solo, sovrappeso e ancora più infelice, ma ciò che fa da contorno alla linea principale – comprimari, dinamiche di relazione, scenari, sottotrame – è tristemente, orrendamente umano.

Il luogo è un elemento chiave, anche se è descritto quasi solo nell’incipit con un’affilatezza che impariamo presto essere il tratto peculiare dello stile di Lindqvist. Un quartiere costruito dal nulla, con un piano regolatore basato sull’efficienza, con isole di verde e cubi di cemento distribuiti razionalmente “perché le persone avessero un posto dove abitare”. E come tanti quartieri- dormitorio, tirati su al volo, affinché la classe media abbia un posto dove stare – come se quella di un tetto e un box auto fosse l’unica necessità lecita, quello di Blackeberg è lo scenario perfetto per la discesa nell’inferno dell’ordinario: per l’alienazione dei suoi abitanti, per l’isolamento di persone sole che, come gli strampalati cacciatori di vampiri, riescono a trovare punti di contatto tra loro a partire dalle proprie solitudini, dai propri vizi rivelatori, l’alcolismo o l’amore disperato per gli animali.

Il male di “Lasciami entrare” non è solo lo squallore. C’è anche la prevaricazione e il gusto di umiliare il più debole, come il povero protagonista Oskar tanto vessato da non distinguere più la realtà da ciò che gli infliggono, o dai propri tristi sogni di vendetta. C’è l’incomunicabilità familiare: se nel rapporto dimesso tra Oskar e sua madre ci sono sentimenti sommersi, le pagine dedicate al padre del ragazzino e alla sua metamorfosi da ubriaco fanno agghiacciare il sangue quanto le migliori di King.

E c’è un male peggiore, la pedofilia, che mischiata alla vigliaccheria e all’ipocrisia più strisciante produrrà il vero mostro del romanzo – non un vampiro, ma un essere ripugnante quanto lo è la sua umanità.
“Lasciami entrare” è un horror, e uno dei migliori dell’anno, ma non solo. Anzi, le scene più “vampiresche”, come quelle del passato della vampira Eli, sono confuse e piuttosto improbabili.

I pestaggi di gruppo, gli abusi pedofili, le cantine, la paura degli altri che lotta con quella della solitudine, ecco il grand guignol. E la penna di Lindqvist ce lo racconta con asciuttezza e precisione, senza beceri compiacimenti pulp, con il rigore di chi sa che l’orrore peggiore può andare a braccetto con la banalità, i dolci di cocco con la droga.

Giulia Abbate

Potrebbero interessarti anche...