In questo giallo, ambientato a Bologna nell’estate del 1998, l’io narrante si presenta fin dall’inizio. O, meglio, si definisce come una persona che “può raccontare come sono andate le cose, il mio nome, però, non posso farlo”. Veniamo così a sapere che il racconto che stiamo per ripercorrere è frutto degli appunti che lui ha raccolto su una storia realmente accaduta dieci anni prima: chi scrive tiene anche a scusarsi per la forma scelta, il racconto, perché è “uno strumento precario” nell’epoca del villaggio globale, senza cioè l’immediatezza di un blog o di un social network.
Immediatamente dopo siamo catapultati nella storia vera e propria che, con tutti i suoi colpi di scena, si articola in circa un mese. Protagonista ne è Alfredo, trentaduenne bolognese, ex carabiniere, che lavora con lo zio nell’agenzia A-Zeta che si occupa di investigazioni e protezione di clienti che per vari motivi non possono rivolgersi alla polizia.
E’ questo il caso del gioielliere Guermandi che si è messo contro la mafia uzbeka che contrabbanda in diamanti e che per questo è stato minacciato. Accade così che Alfredo incontri Marilena, la figlia del gioielliere, perché è lei in primo luogo a essere in pericolo. Il rapporto dei due giovani, quasi coetanei, è all’inizio pieno di frizioni perché Marilena mal sopporta il cambiamento di abitudini intervenuto nella sua vita.
E’ questo il tema che Sandro Santori rende più credibile: i pensieri di entrambi, i primi turbamenti, la curiosità, l’interesse e tutte le sfumature di un rapporto che diventa di amore totale.
Mentre i due si conoscono i tentativi di intimidazione della mala del Brenta, contattata dagli uzbeki, rimangono quasi sullo sfondo e fanno da cornice. E’ un peccato perché la narrazione perde un po’ il ritmo; la caratterizzazione dei “cattivi” manca quasi totalmente: non vengono designati con un nome ma solo con alcuni capi di abbigliamento indossati, “l’uomo con il vestito di lino color tabacco” o con l’arma che portano “l’uomo con la Smith Wesson”.
Uno scarto nella narrazione si ha quando l’agenzia A-Zeta scopre che gli uzbeki stanno organizzando un rapimento. La fuga si rende allora necessaria, e il luogo eletto a rifugio è Civita Castellana, un luogo dove Alfredo si sente a casa e dove si può quasi giocare alla coppia felice e senza problemi.
A questo punto che le cose però si complicano e che si fa strada il tradimento, quello bruciante, e la sofferta decisione su da che parte stare, se rimanere puri o se sporcarsi le mani e accettare le debolezze altrui.
E’ nelle ultime pagine che si concentrano tutti gli elementi del giallo che si erano resi latitanti durante la permanenza a Civita Castellana in un susseguirsi di colpi di scena fino al secondo e ultimo incontro con il narratore che chiude il cerchio della vicenda.
Giallo forse non sempre ben equilibrato tra analisi psicologica (dei caratteri dei due protagonisti in primis e subito dopo quella della nascita della loro storia) e i fatti veri e propri, rimane comunque una piacevole lettura.
Tutta colpa d’Alfredo
sabrina pittaluga