Il giardino delle delizie, Wonderland Quartet vol. 1 – Joyce Carol Oates



Joyce Carol Oates
Il giardino delle delizie, Wonderland Quartet vol. 1
Il Saggiatore
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Nel 1967 Joyce Carol Oates pubblica il primo di quattro libri, ognuno dei quali indipendente dall’altro, dedicati alla grande Epopea americana. E’ la storia d’America del XX secolo vista con i suoi occhi e raccontata con quel taglio politico che caratterizza tutta la sua produzione letteraria.
La Oates racconta l’America dei bianchi poveri che – ai tempi della Grande Depressione – girano di Stato in Stato cercando lavoro come braccianti, raccoglitori di frutta e ortaggi in cambio di un salario indecente. Ammassati su autobus di linea o sferraglianti camioncini, intere famiglie percorrono centinaia di chilometri, accettano condizioni contrattuali vessatorie e vivono ammassati in capanne spoglie e laide.
I bambini non ricevono alcuna istruzione né cure mediche, crescono alla scuola della vita: non c’è ascensore sociale per questi reietti, che si autodefiniscono “feccia bianca”, “white trash”. Posti ai margini della civiltà, i poveri braccianti vivono di espedienti, non educano i figli, sono barbari e violenti con chi è considerato socialmente al di sotto del loro già infimo livello. Sono intolleranti, xenofobi, odiano i neri o gli ispanici e inneggiano al segregazionismo. Sono gli anni del Ku Klux Klan che imperversa negli Stati del Sud, dei pestaggi organizzati non solo ai danni di chi è nero ma anche di chi contravviene – esprimendo dissenso – al codice di comportamento dell’élite bianca razzista e della sua sottocultura.
Siamo molto lontani dall’America illuminata e progressista, la terra delle meravigliose opportunità, la Wonderland che certa propaganda vuole propinarci come faro della civiltà moderna.
Il libro, diviso in tre parti, narra delle vicissitudini della famiglia Walpole, concentrando il focus ogni volta su un personaggio diverso.
Carleton Walpole – nella prima parte – trascina per l’America, dal Kentucky alla California, la sua sfortunata famiglia: è un accanito bevitore, violento, illetterato e intriso di pregiudizi sulla supremazia bianca. Si sposa ragazzino, mette al mondo numerosi figli; sua moglie, giunta sulla soglia del disagio psichiatrico, muore di stenti dopo l’ennesimo parto. Rimasto solo, va a vivere con una nuova compagna: nel frattempo i suoi figli si allontanano per sfuggire a povertà e violenza domestica. La sua preferita – Clara – lo lascia dopo l’ennesima lite e parte per il Nord con un uomo che la aiuta ad avviarsi a una vita meno misera, in una piccola città.
Clara – protagonista della seconda parte del libro – appena adolescente si costruisce una quotidianità meno tragica. Assunta come commessa, trova un appartamento in affitto e si ritaglia una normalità. Non ha però la forza di emanciparsi dalla miseria fino in fondo. Non prosegue gli studi, preferisce trovare un uomo che la faccia entrare dalla porta principale nel mondo dei benestanti.
Accetta senza troppi patemi di diventare la mantenuta del grande possidente terriero Curt Revere, partorisce un figlio – nato da una relazione d’amore con un ragazzo povero come lei – e riesce ad attribuirne la paternità all’amante benestante.
E’ ignorante ma scaltra, con l’astuzia manovra le persone per garantirsi un futuro migliore, lo pretende per sé e suo figlio.
Entrata nel clan dei Revere, trascorrerà l’esistenza cercando di farsi accettare, conscia che i modi poco raffinati e le difficoltà comportamentali, eredità del suo passato di ragazzina cresciuta in una famiglia disfunzionale, non le garantiranno mai l’affetto dei parenti acquisiti.
Riverserà ogni speranza di emancipazione sul figlio Swan che – protagonista della terza parte del romanzo – vivrà costantemente in una condizione sospesa fra due realtà, quella del bianco ricco e privilegiato, destinato dalla nascita a ereditare le redini dell’azienda paterna, e quella del ragazzo sensibile, attratto dalle lettere, segnato dalla nascita dal mistero sulle sue vere origini.
Una condizione dicotomica che lo porterà all’alienazione mentale, sino al limite della follia autodistruttiva.
Un libro di dura denuncia sociale, politico, aspro nei toni, realistico nei dialoghi fino al limite della brutalità espressiva, quanto mai attuale.

Il libro in una frase

“Nei campi la gente non si cura della propria faccia, perlopiù. Non c’è nessuno che ti guarda e a nessuno frega un cazzo quindi magari ti metti a parlare da solo, strabuzzi gli occhi mentre rivedi vecchie discussioni e litigate e certe volte anche i bei momenti passati, se i bei momenti riesci a ricordarteli, e sputi nella polvere, con i pensieri che ti ronzano nel cranio per tutto il tempo come le grosse mosche nere su quei mucchi di merda umana ai margini del rado bosco di pini dove vai a farla quando devi farla. E il sorvegliante ti guarda mentre esci dal campo, per essere sicuro che non cincischierai. E la gente di città sembra di saperlo tutto questo”.

Sabrina Colombo

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