Vangelo di malavita



Claudio Metallo
Vangelo di malavita
CasaSirio
Compralo su Compralo su Amazon

“[…] chi siede al banco dei giudici non è che rappresenti la giustizia. Rappresenta solamente il vincitore”.
Si apre con la citazione di un calabrese illustre l’ultimo romanzo di Claudio Metallo intitolato “Vangelo di malavita”. Un pensiero di Corrado Alvaro, eclettico intellettuale nato a San Luca che nella corso della vita indagò a fondo la società calabrese dell’Aspromonte. Non sappiamo con certezza se il paesino dove è ambientata l’opera di Metallo sia ubicato nella medesima area del Meridione d’Italia, benché il riferimento all’alluvione del 1951, che ne provocò la distruzione, sia un indizio molto chiaro su dove potrebbero svolgersi i fatti narrati. Quello di cui si può essere certi, dopo voltato l’ultima pagina di “Vangelo di malavita”, è di aver letto un libro scritto con l’intento di analizzare un certo tipo di mentalità e descrivere l’asfissiante condizione sociale ed economica in cui versa la Calabria.
Nello sciogliersi dell’intreccio, accanto alla parabola di un picciotto di sgarro, Ignazio Quinteri, che agisce in paese e fora regno illudendosi di rispettare le sacre regole dell’Onorata Società, si percepisce il distacco progressivo di un livello di azione superiore, appartenente a quel tessuto sociale influente e altolocato, contiguo e spesso persino interno alla ‘ndrangheta. Il personaggio che incarna la zona grigia è Angelo Iamonte, componente di una casata di principi del foro e figlio di Giovanni Iamonte, uomo, il genitore, che partecipa a riunioni dove si decidono atti di violenza terribili ma che si offende quando si pronunciano male parole in sua presenza.
Angelo e Ignazio sono due lati della stessa luna che tenta di restare oscura, ma di cui tanto parlano i mass media, ormai, finendo per accostare alla malavita ogni misfatto accaduto nell’incorreggibile Calabria. L’uno in parlamento, Angelo, impegnato a manovrare per spingere al massimo la sua ascesa e affondare le mani in più appalti, varianti d’opera, autorizzazioni e distribuzione di prebende. L’altro in carcere, Ignazio, costretto a imparare la differenza tra Società Minore, Maggiore e Santa, e forse a comprendere che gli “amici” che l’hanno abbandonato fanno parte di uno strato ancora più elevato e invisibile, mentre lui è condannato a stare sutta e a morire sutta. Ma come si dice al paese: il tempo è maestro d’opera e solo lui decide come devono concludersi i fatti degli uomini, a qualunque anello della catena alimentare essi appartengano.

 

 

 

 

 

Thomas Melis

Potrebbero interessarti anche...