La furia del Drago – Lorenzo Visconti



Lorenzo Visconti
La furia del Drago
La Corte Editore
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S’ammanta di neve La furia del Drago, alias Lorenzo Visconti, l’ultimo controverso eroe di carta nato dall’inesauribile penna di Paolo Roversi, prolifico scrittore che nonostante la giovane età vanta una produzione letteraria di tutto rispetto nel panorama italiano e da tempo strizza l’occhio al mercato europeo. 
Il Drago, ex poliziotto nato e cresciuto nella celeberrima via Gluck e che prende il soprannome dalla “Ballata del Cerutti” di Gaber, s’è rifugiato in un’isolata baita tra le nevi immacolate delle Alpi trentine per ritrovare se stesso e stemperare la lava che gli ribolle dentro da quando è scomparsa la sua collega, Lara Serrano. Dopo averla cercata a lungo invano, il drago la crede morta e senza di lei s’è spenta anche una parte di lui, la migliore, quella che Lara sapeva fare palpitare e stringere tra le labbra diluendone la carica di aggressività. 
Da manuale l’incipit di questo romanzo da ieri in libreria che inaugura la nuova serie del drago edita da La Corte editore. Vegetariano convinto e un amore viscerale per gli animali, il Drago si trasforma nello Yeti del Trentino. Capelli arruffati, barba incolta e stazza titanica, mimetizzato nel biancore lunare delle nevi, s’apposta in cerca della preda che armata di fucile spara agli animali inermi. La furia del Drago è fulminea e senza appello. I bracconieri s’avvedono soltanto quando è troppo tardi d’una massa enorme e pelosa che fa a pezzi fucili e ossa e s’allontana silenziosa com’è comparsa. E il mito dello Yeti torna ad alimentare il cicaleccio montano dei rigidi inverni alpestri e a scoraggiare i cacciatori di frodo. Un esilio quello del drago che si prolunga per due inverni e diventa il terrore dei bracconieri, fino a quando lo stesso drago/yeti si presenta da un barbiere per farsi rasare e ritrova un aspetto civile. 
Il Drago ha intercettato un messaggio dalla sorella di Lara, c’è una nuova pista da scandagliare, forse non è morta. E tanto basta per incanalare la sua furia verso nuovi nemici che certo non mancano nella sempre impietosa capitale meneghina dove il nostro fa rientro. Ritrova anche vecchi amici con cui condividere affetto e battute. Tra questi Jamel, francese di origini africane, mago del computer, e l’ex maresciallo dei Carabinieri, Barillà che da quando ha lasciato l’Arma non abbisogna più di nascondere la sua omosessualità. 
I due, mettendo insieme le loro abilità, hanno costituito un’agenzia di investigazioni per risolvere vecchi casi insoluti che non poco dolore provocano ai familiari di chi dopo tanti anni non ha avuto giustizia per la scomparsa di figli, fratelli, mogli. 
Tra i nuovi amici del Drago anche un eccentrico scrittore che fuma il sigaro, si accompagna a donne belle e vistose, indossa giacche e cravatte sgargianti, picchia duro e tira di boxe come un pugile provetto: Alan G. Ronketts.
E qui diventa struggente l’omaggio che Paolo Roversi fa al compianto Andrea G. Pinketts, indimenticato autore di romanzi come “Il senso della frase”, che diventerà il suo marchio di fabbrica e farà conoscere anche al grande pubblico il suo protagonista/alter ego, Lazzaro Santandrea, che come il drago, alias Lorenzo Visconti, predilige Milano come location d’azione.
Va da sé che dopo un incontro/scontro che vedrà soccombere ora il drago ora lo scrittore sul ring, i due troveranno ampi spazi di convergenza per condividere indagini e avventure. 
Sulla trama de “La furia del Drago” non aggiungiamo altro, convinti come siamo che i libri vanno letti, non raccontati, a maggior ragione se si tratta di romanzi che hanno quel mix di indagine e mistero da risolvere e che sono capaci di avvinghiare il lettore e tenerlo ben ancorato alla pagina, mantenendo intatta in lui la voglia di sapere come evolverà la storia.
Non si può tuttavia non sottolineare ancora una volta il modo di scrivere affabulatorio di Roversi, o almeno mi piace pensare di poterlo fare visto che lo leggo da quindici anni,  fin da quando esordì nel mondo del giallo con la gloriosa Stampa Alternativa e pubblicò “Blue tango/noir metropolitano”, dove faceva la prima comparsa il suo inossidabile protagonista, il giornalista freelance, Enrico Radeschi, ed emergeva il suo consueto omaggio a grandi artisti, come Paolo Conte in quel caso richiamato fin dal titolo del romanzo, o come Giorgio Scerbanenco, coi nomi dei personaggi dei romanzi del papà di Duca Lamberti, protagonista della ben nota quadrilogia che si apre con Venere privata, utilizzati da Roversi per alcuni   personaggi delle sue opere.
O ancora come l’omaggio a Charles Bukowski a cui Roversi ha dedicato diverse opere, a cominciare da “Taccuino di una sbronza”,
Storico di formazione e per studi universitari, Paolo Roversi è anche autore dell’interessante dittico sulla mala milanese, due romanzi che raccontano l’epopea criminale realmente accaduta nella città da bere: Milano criminale e Solo il tempo di morire. E se la ricostruzione storico/cronicistica tradisce la formazione storica dell’autore, la sapiente architettura di trama nei dialoghi e nell’introspezione dei personaggi, ne esalta le qualità da romanziere. Cifra stilistica d’ogni sua storia è il ritmo che imprime alla narrazione. E se nella fortunata serie di Enrico Radeschi, tradotta in più lingue e ripubblicata da Marsilio, al lettore sembra di stare col giovane giornalista a bordo del giallone, il vespone con cui percorre le vie di Milano (e in un paio d’occasioni anche la bassa mantovana), nella serie del drago al lettore sembra di ribollire insieme ai pensieri di Lorenzo Visconti che annega nel Fernet il suo malstare al mondo e trova nello scrittore  Alan G. Ronketts un degno compagno di bevute.
Un romanzo che si legge volentieri “La furia del drago”, i cui toni volutamente esasperati se non proprio cinematografici, sottendono a una forma narrativa veloce e intrigante  di sapiente intrattenimento e divertimento di cui Paolo Roversi si dimostra indubbio maestro della nuova scuola del noir metropolitano.

Roberto Mistretta

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