Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell’inchiesta racconta

Trent’anni fa come oggi Aldo Moro era prigioniero della colonna romana delle Brigate rosse. Trent’anni fa, come oggi, la lancetta dell’allarme democratico si era già assestata sul rosso stabile. Trent’anni fa, come oggi, c’era una gran confusione a tutti i livelli dello Stato e delle istituzioni. Solo una cosa era ben chiara: non si sarebbe fatto alcun tentativo per salvare la vita del presidente del Consiglio nazionale della Dc, rapito dalle Br il 16 marzo 1978, mentre si apprestava a recarsi in parlamento a votare la fiducia al nuovo governo Andreotti, costituito dopo l’ingresso del Pci nella maggioranza programmatica e parlamentare. Eventualità che se si fosse concretizzata avrebbe portato all’attuazione del cosiddetto “compromesso storico”.

Perché, dopo la strage in via Fani si fece di tutto per non “scoprire” l’appartamento di via Montalcini appartenente alla brigatista Anna Laura Braghetti in cui Moro era tenuto prigioniero? Perché non ci fu alcun tentativo, né palese né occulto, di trattare con i rapitori, a differenza di quanto sarebbe avvenuto invece tre anni dopo, quando per liberare, sempre dalle Br, l’assessore democristiano Ciro Cirillo, lo Stato non esitò a chiedere la mediazione dei camorristi di Raffaele Cutolo?

E, ancora, chi sparò a Moro? Da quanti uomini era composto il commando che agì in via Fani? Chi guidava la motocicletta che vari testimoni sostennero di aver visto quel mattino? Cosa avvenne veramente la notte della seduta spiritica a cui partecipò anche Romano Prodi?

Un magistrato, Ferdinando Imposimato, giudice istruttore per la strage di Via Mario Fani e il sequestro di Aldo Moro, e un giornalista, Sandro Provvisionato, tornano sul caso più misterioso della nostra storia recente scoprendo inediti scenari e ripercorrendo quei maledetti giorni della prigionia fino all’esecuzione del presidente democristiano. Il risultato della loro fatica apre scenari nuovi e inquietanti: in sette occasioni Moro poteva essere salvato, ma nelle stanze del potere qualcuno tramò perché non si cercasse l’ostaggio e perché alla fine venisse giustiziato.

Ordini di cattura bloccati, collegamenti (provati) con la Raf, la formazione combattente tedesca di estrema sinistra, l’irremovibile fermezza di Francesco Cossiga all’epoca ministro dell’Interno, i verbali del Comitato di crisi nascosti per lungo tempo… Dalla rilettura delle carte emerge il labirinto di un’inchiesta iniziata nove giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio della Renault rossa, in via Caetani, luogo non casuale visto che l’auto col suo macabro contenuto era stata parcheggiata in un punto della Capitale esattamente equidistante dalla sede della Dc, in via Del Gesù, e quella del Pci, in via Botteghe oscure.

La sensazione che nasce oggi, ripercorrendo quei passi, rileggendo le rivelazioni dei pentiti: Faranda, Morucci, Moretti e compagni alla luce degli eventi che seguirono, è densa di inquietudine e di sospetti. Eppure è quasi un dovere se si vuole capire il come e il perché dei tragici eventi successivi.

In questo libro il giudice istruttore Imposimato, con l’aiuto di un grande esperto di Misteri italiani, Sandro Provvisionato, lascia che, una volta tanto, a parlare siano i documenti e i verbali dell’epoca che, più e meglio di qualsiasi ricostruzione, raccontano chi c’era, chi sapeva chi ostacolava e chi tramava, lasciando intravedere dietro le quinte l’ombra di forze oscure di quel club per gentiluomini che anni avrà un nome: P2.

adele marini

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