Sheol



marcello fois
Sheol
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Con giorni che tornano freschi, piovosi, con quell’aria leggera di autunno, o con quelle ventate gelide che ghiacciano l’impermeabile e anche un po’ il cuore. Con i giorni che tornano talvolta tornano anche “i brutti tempi andati” con tutta la loro forza, il loro prezzo, le loro lacrime. Nell’Hotel Abbazia dietro la stazione centrale di Trieste ho una camera singola. Presa per due o tre giorni. Presa per lavoro. Scelta perché il neon all’ingresso non è più quello di una volta, l’aria non è come te la ricordavi, quel bar ha chiuso e non ti invita ad entrare perché sai che come i ricordi farà male. Nella stanza al secondo piano, alle 18, quando fuori è già buio, apro le prime pagine di Sheol, e sento che il passato è ancora qui, non è storia che si può solo ricordare ma è vicenda che si fa quotidiano, presente, adesso. Ed è ancora nero.

Ruben Massei, Ispettore della Mobile. Roma. Centro di Roma. Serate e notti passate alla Stazione Temini, un lavoro che non va, una vita che non va. Una camera e la “coperta”. Amore. Dal passato torna una voce mai sopita, i giorni dalla Shoa, dei crimini che non vorresti sentire. Sono ricordo per molti, inferno per altri. Massei, ebreo, ha un brivido che corre lungo la schiena e fa pensare e dire a chi come me e come molti altri ha qualcosa da non ricordare: ci risiamo, tornano i brutti tempi andati. Ed è questa la forza del romanzo di Marcello Fois, lontano dalle ambientazioni barbaricine, proiettato in una Roma nera già alle 15 del pomeriggio (Ruben diede ancora una sbirciata all’orologio: le tre del pomeriggio. Sembrava già notte, e invece stava solo per diluviare), fatta di camere ad ore e di drink solitari presi a Piazza della Repubblica. Poi c’è il ghetto, nel cuore della città, la sinagoga, una comunità che esiste, resiste e ricorda. Tre disadattati come tanti con in più un poster di Mussolini nella camera con la finestra sul campetto della parrocchia di borgata, una donna ebrea scomparsa, una denuncia e un traffico all’interno della questura. Tutto questo basta a Massei per ricordarsi di alcune storie, di alcune voci, di ville fuori città che puzzano di violenza, allora nel ’43 come oggi. Ed è proprio mentre cerca di cacciare lontano dalla sua porta i fantasmi che quest’ultimi si fanno vivi, materiali. Messaggi. Sulla porta di casa, nella macchina, nell’ufficio. Qualcuno sa, ti conosce, pensa a te e vuole tornare indietro a sistemare il passato usando il tuo presente.

Un romanzo sulle presenze, sul passato che si fa’avanti con la forza del futuro, che attanaglia alla gola e da cui non ci si aspetta niente di buono. L’odore del sangue tra i denti. Bigliettini lasciati come guida e memoria all’ispettore. Questo è Sheol oltre la trama e lo svolgimento della storia: un romanzo sul ricordo e sulle scelte che fatte in passato ci ricordano essere le basi del futuro.

Penso a casa mia e penso che tra due o tre giorni tornerò. Non so con quali speranze non so con quante promesse mantenute. Leggo Sheol e il neon dell’albergo è ancora acceso.

“Ricordati che un soffio è la mia vita, non più tornerà l’occhio mio a vedere il bene; non mi scorgerà occhio umano, gli occhi tuoi saranno su di me e io non sarò più; come la nube si consuma e dilegua, così chi scende allo sheol più non risale, non ritorna alla sua casa e la sua dimora non lo riconosce”.

Adriano Vincenti

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