L’idea delle “commedie nere mi è venuta all’ospedale. Intervista a Francesco Recami

Abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda a Francesco Recami, attualmente in libreria con L’atroce delitto di via Lurcini. Commedia nera n. 3, Sellerio, qui la nostra recensione-
41E+LoNPfpL._SY346_Buongiorno Francesco e grazie per aver accettato quest’intervista per Milanonera. Comincio subito con le domande…più difficili.

Nel tuo romanzo sono presenti molte riflessioni sociologiche, penso all’episodio della biblioteca, al contrasto tra i frequentatori saldamente democratici e il provocatore Franzes, che alla fine decide di non accanirsi contro il personale sottopagato e precario. La cultura continua a essere salvifica o è diventata anch’essa un’illusione di democrazia?
Mah, riflessioni sociologiche… direi delle spigolature. Conosco biblioteche frequentate da senzatetto per il refrigerio d’estate e per scaldarsi d’inverno. Gli incaricati preferirebbero che non accadesse, ma guai a dirlo. La cultura è salvifica per chi ce l’ha, a partire da quella enogastronomica.

È irresistibile la parodia degli Artisti, penso a Netzer e alla sua ebetudine intellettualoide. Come giudichi questo genere di personaggi, che hanno fatto del loro narcisismo il fine ultimo della loro opera?
Ci sono grandi artisti che mettono in scena gli ultimi della società, dal disagio psichico alla miseria, dalla malattia alla sofferenza, dai profughi ai down. È molto di moda.
Sembra che un certo numero di artisti cerchi il disagio col lanternino, forse perché sono più probabili finanziamenti di un assessorato al sociale che di quello alla cultura, che non ha soldi (questo sì che è cinismo) e i like sono di più perché i benpensanti si sentono meglio, come diceva Frankie hi nrg. Per cui mi sono immaginato che un grande coreografo volesse mettere in scena dei senzatetto sulle punte: credevo di aver esagerato invece ho scoperto che è stato fatto davvero. Non ho dati ufficiali alla mano ma credo che coloro che non fanno del loro narcisismo il fine ultimo della loro opera ammontino a zero. Io non faccio eccezione.

Il genere della commedia ha come avo nobile Aristofane, ma nel tuo libro una visione fosca e tragica del presente sembra prevalere sulla giocosità tipica del genere. Ė una mia interpretazione personale o è una scelta voluta?
Di solito i commediografi sono personaggi pessimisti e tristi. E la commedia vede i suoi periodi di fulgore nelle grandi crisi storiche e soprattutto sociali, a pochi passi dalla catastrofe. Si ride per disperazione. Che Aristofane trasmetta una visione ottimistica non so se mi risulta.

Il tuo sarcasmo pare procedere, con il susseguirsi delle pagine, verso un inarrestabile nichilismo. Sei davvero così pessimista nei confronti del futuro, dell’Italia in particolare?
Non saprei. Qual è il contrario del nichilismo, il qualcosismo? Beh, allora sono qualcosista. Di solito chi fa del sarcasmo ha solidi valori morali (anche negativi, non importa). Non so se questo vale anche per me. Come persona sono un bonaccione.

Castigat ridendo mores, per dirla alla latina. Nella tua scrittura ho colto echi di Achille Campanile, con una più marcata impronta corrosiva e sulfurea. Come lo definiresti il tuo umorismo?
Non saprei, non tocca me. Posso solo dire che l’idea di scrivere delle commedie nere all’italiana, ovvero dove si ride a denti stretti di temi tabù, mi è venuta quando ero all’ospedale. L’umorismo è una strategia difensiva di retroguardia, quando le cose vanno male, cioè molto spesso.

Hai scelto di rifarti a un’opera di Labiche, ma la tua Commedia nera manca della gioia e del piacere del divertimento del pubblico propria dello scrittore francese, il tuo romanzo possiede, invece, una nobile indignazione civile che ne fa un’opera sui generis. Come mai, allora, la scelta di Labiche?
Nelle commedie che scrivo cerco di combinare la classica commedia nera anglosassone con dialoghi e spirito sociale alla francese, toni boulevardier ed equivoci da salotto nero. Le mie commedie non sono un buffo e scollacciato intrattenimento per una ricca borghesia che non esiste più, sono uno sfogo che procede per paradossi contro i paradossi del quotidiano. Beccati questa, da uno che sostiene che non è lecito parlarsi addosso.

Le figure di emarginati rappresentate nel tuo libro sono più vicine alla tragedia che alla commedia, in certi passaggi mettono a nudo nel loro agire la negazione di qualunque alone romantico, o almeno libertario, normalmente attribuito all’emarginato che vive ai bordi del consorzio sociale. Quale rapporto ti lega a loro?
L’alone romantico, sulle condizioni dei diseredati, è un’invenzione con aspetti deleteri. Ai tempi dei comunisti la carità e l’elemosina erano visti come una disgrazia, gli ultimi non erano beati, dovevano semplicemente non esistere. Mia cugina lavora dieci ore al giorno, a partita Iva, per una ditta di…. Guadagna sui 1150 euro al mese, con poche garanzie e protezione sociale. Ha insegnato alle figlie piccole che quando qualcuno dice una parolaccia bisogna mettere un soldo nel salvadenaio per i poveri. Senza dire alle figlie che poveri sono anche loro.

Nel tuo romanzo sono molteplici i richiami all’attuale realtà degradata in cui ci troviamo a vivere: ad esempio, il ministro della cultura e il suo staff che usano freneticamente i cellulari o giocano ai videogame. Il tuo è un pessimismo cosmico o c’è ancora qualche margine di salvezza? Se esiste, dove possiamo trovarlo?
Beh, se il ministro della cultura gioca col telefonino non è così grave. Non mi pare sia il caso di chiamare in causa il pessimismo cosmico. Anche il pessimismo, come l’umorismo, è un ansiolitico. Il mondo è uno solo e non c’è particolare ragione di essere né pessimisti né ottimisti, sono solo convenzioni.

Un’ultima domanda: a quale genere di lettore hai pensato scrivendo questo romanzo?
È una domanda cui è difficile rispondere. In linea di massima io cerco di pensare il meno possibile al lettore, se no mi deprimo e non scrivo niente. Comunque mi piace pensare che chi mi legge non cerchi facili rassicurazioni e personaggi ruffiani. Ma questo mi auguro che si sia già capito. Se no ho fallito in tutto e per tutto.

Grazie Francesco e tanti auguri per il tuo prossimo libro!

MilanoNera ringrazia Francesco Recami e la Sellerio per la disponibilità

Donatella Brusati

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