Vita da niente



jim thompson
Vita da niente
fanucci
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Uscito in America nel 1957, The Kill-Off arrivò anche da noi grazie a Mondadori nei primi anni Novanta col titolo Vita da niente. Oggi quella storia viene riproposta dai tipi di Fanucci dopo essere prematuramente andata fuori catalogo. Destino cupo quello di Jim Thompson, uno dei più intelligenti scrittori americani del Novecento (di letteratura punto, senza dover ricorrere ad alcuna specificazione del genere), adorato da cineasti con quattro quarti di nobiltà (Kubrick, Peckinpah, Tavernier), celebrità della scrittura cinematografica (Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria, tanto per citare due titoli a caso), seguito da un autentico esercito di lettori e morto in assoluta povertà, dimenticato dal mondo intero poco più di trent’anni fa.

Con Vita da niente ci troviamo davanti a un gioiello. A Manduwoc, località balneare a una stella, sta per compiersi un omicidio. La vittima, Luane Devor, non è una stinca di santa. “Era soprattutto una donna che amava lo scandalo, e ne viveva”, scrive di lei l’autore nell’attacco del romanzo. E il suo giochino preferito è quello di spargere i semi della zizzania per telefono contro chiunque, ovunque e per qualunque motivo. Parlate di me, magari male ma parlatene. Parlate di tutti, ma parlatene male. La sua vita s’attorciglia dentro questi due assiomi. Finché arriva il giorno del giudizio. Dato non da Dio, ma da uno dei poveretti con cui ha a che fare. Chi è l’assassino?

Gli undici personaggi che animano la storia passano in rassegna uno per uno. Uno per capitolo. Ciascuno con la sua versione e la sua storia personale. Raccontata in prima persona come durante l’interrogatorio, durante il processo. E il lettore-giudice è chiamato ad ascoltarli il più attentamente possibile. Ognuno può essere stato, ma solo uno può dirsi l’assassino. Anche se nessuno può dichiararsi del tutto innocente.

È la struttura narrativa a fare da colonna portante dell’intero romanzo, l’assoluta centralità del punto di vista soggettivo di tutti i protagonisti coinvolti (un’architettura che ricorda da vicino, ad esempio, Torno presto di James Barlow). Undici monologhi (più uno, quello della vittima) in cui disprezzo, invidia, gelosia, rabbia, egotismo, paura, opportunismo si rincorrono e si alternano senza che i portatori insani possano essere mai colpiti dalla cura della redenzione.

I tre romanzi fuoriclasse di Thompson non si discutono. Colpo di spugna, In fuga, L’assassino che è in me ci hanno consegnato un magnifico autore in grado di spingere avanti gli occhi e raccontarci un tempo fisico con la stessa chiarezza che riconosciamo a Charles Bukowski o a Edward Bunker. Assodata questa elementare realtà, Vita da niente è in scia. Esaltata la costruzione della storia con una tecnica a dir poco temeraria, Thompson butta dentro il suo sguardo pur in un apparente gioco di fuga dell’autore. Parlano gli interessati, è vero. E solo loro. Sempre in prima persona. Ma guardando il quadro da una distanza tale da comprenderne finanche la cornice, è possibile vedere gli interi Stati Uniti dell’età dell’oro. Quella post depressione. Che ha ripreso a fare il grano e a spenderlo. Che ha sì riverniciato l’intera facciata. Senza però cancellare la muffa rimasta sui muri. Ecco lo sguardo di Jim Thompson. That’s America, folks!

corrado ori tanzi

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