Faccia a faccia con Antonio Manzini

Antonio Manzini al festival NebbiaGialla 2014

Antonio Manzini: due recenti romanzi di grande successo più i racconti presenti nelle raccolte Sellerio: sei lo scrittore del momento, impegnato in presentazioni, incontri e festival. Come sopravvivi alle fatiche della promozione?
Non è che nel prossimo libro rischiamo di trovare le interviste al primo posto della particolare Top Ten delle rotture di coglioni di Rocco Schiavone?
Guarda, Rocco Schiavone non lo intervista mai nessuno. E poi Rocco le interviste le chiuderebbe in un paio di battute al massimo. Non gli piace parlare di sé, del suo lavoro, dei suoi affetti. Per quello mi odia, perché io metto nero su bianco la sua intimità. Su Pista nera però , mi pare di ricordare, le conferenze stampa Rocco le ha messe al settimo o ottavo grado della scala.

Ho visto in rete un tuo interessante video di un paio di anni fa, nel quale Camilleri parlava del triplice status degli scrittori definito a suo tempo da Alberto Arbasino: Brillante Promessa al di sotto dei cinquant’anni, Solito Stronzo dai cinquanta ai settanta, Venerato Maestro nella fase senile. Allora Camilleri disse che eri ancora “brillante promessa”, che ti direbbe oggi?

Il 7 Agosto passo di diritto fra i soliti stronzi.

Marco Videtta, Antonio Manzini e Sandrone Dazier al festival NebbiaGialla 2014
Marco Videtta, Antonio Manzini e Sandrone Dazier al festival NebbiaGialla 2014

Quando scelgo un libro, la prima cosa che faccio è leggere la sinossi e poi l’incipit. “La costola di Adamo “ mi ha conquistato con una semplice avversativa:
“Erano giorni di marzo, giorni che regalano sprazzi di sole e promesse della primavera che verrà. Raggi ancora tiepidi, magari fugaci, che però colorano il mondo e aprono alla speranza.
Ma non ad Aosta” 
Quanto è importante l’incipit per un libro?
Fondamentale. Credo che fra incipit e prime 10 pagine se ne vadano settimane di lavoro. Visto che hai citato Andrea, una cosa che ci divertivamo a fare ai tempi dell’Accademia era sparare un incipit, e lui doveva indovinare il romanzo. Si andava dai più semplici, Chiamatemi Ismaele, oppure io nacqui nella città di York nel 1632… a quelli più difficili…il ragazzo dai capelli biondi si calò giù per l’ultimo tratto di roccia… Andrea li sapeva tutti!

Rocco Schiavone è un personaggio complesso che a prima vista potrebbe risultare duro, antipatico, un vero e proprio bastardo a dirla tutta, ma che piano piano si rivela invece essere un uomo estremamente sincero, capace di sentimenti assoluti come l’amore e l’amicizia incrollabile , talmente sincero da non avere filtri e da agire d’istinto, senza mediazione alcuna.
Posso fare un azzardo e dire che Schiavone, così fuori dagli schemi ,è un’avversativa? Scomodo, insofferente, sanguigno, in contrasto con i pensieri e i comportamenti della maggioranza.
Come è nato questo personaggio? Credi che i lettori lo abbiano compreso appieno? Cosa ti dicono quando li incontri?
Rocco ha riscosso nel lettore un successo e un’empatia da me insperata. Non so da cosa dipenda. Certo, qualche risposta ho cercato di darmela. Per esempio l’insofferenza che in questa fase storica del nostro paese proviamo davanti alle difficoltà e alle ingiustizie ha certamente aiutato. Noi tutti siamo stanchi di una classe politica, dai comuni al parlamento, che non incide e si è allontanata irrimediabilmente dal tessuto connettivo del paese. Fine mese è diventato un bel ricordo, già verso il 15 lo stipendio è finito, i figli hanno poco o niente da sperare. Credo che il malcontento abbia generato la voglia di conoscere o avere a che fare con qualcuno che quella società, quella gente, quelle ingiustizie le prende a calci nel sedere. Questo banalizzando, è ovvio. Ma poi credo che, come dice il poeta, ognuno di noi sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole. E in questo può riconoscersi in Rocco Schiavone.

Schiavone mostra il suo lato più dolce e romantico quando è solo e parla con la moglie morta.
Credi veramente possa esistere un amore così assoluto e infinito o in fondo è così solo perché la morte della moglie ha cristallizzato il ricordo permettendone l’idealizzazione?
Il loro è un amore che non potrà mai esaurirsi per stanchezza, usura o abitudine. Un amore così assoluto può esistere. C’è. L’ho visto. La cristallizzazione del ricordo credo appartenga a persone più anziane, che hanno perso la spinta verso la vita. E poi sostanzialmente non prendere atto dei dolori, non elaborarli, sia un modo per restare immaturi. Rocco in questo è un immaturo. Mastica vita ma da quel punto di vista ha paura di crescere.

Scrivi sia romanzi che racconti, quale di queste due espressioni letterarie preferisci?
Il lavoro sul romanzo è lungo, a volte complesso e può diventare anche tedioso. Il racconto non ti lascia questo spazio. E’ come una corsa sui cento metri. L’altra è una maratona. Provo amore e avversione per tutt’e due le forme letterarie.

Un personaggio complesso come Schiavone, non è difficile da comprimere in un racconto?
Difficilissimo, per me. E quella è una delle prime difficoltà che trovo quando devo scriverne uno. Non sempre la compressione aiuta il discernimento. Però le battute e le pagine sono quelle, e allora c’è un grande lavoro di taglio e rilettura. Spesso sacrifichi cose che ti piacciono ma che vanno a scapito del tuo protagonista. E le butti via.

Scrittura, storia, personaggi. Dando per scontato che un libro deve avere un giusto equilibrio di questi elementi, ogni scrittore poi sceglie quale aspetto prediligere. Tu punti molto sui personaggi e sulla costruzione della loro personalità. E i personaggi sembrano essere nati prima della storia stessa, è così?
Insieme alla storia. Nascono insieme. A volte compaiono da soli, altre volte li tiri dentro tu. Perché magari hai bisogno di un tipo piuttosto che un altro. E piano piano il libro, come una piazza all’alba, si va riempendo di gente. Qualcuno è solo un passante, qualcun altro invece lo segui che gira l’angolo e vai a vedere come passerà la giornata.

E’ molto divertente l’abitudine di Rocco di trovare somiglianze tra le persone e gli animali. Sai che non è una cosa così inusuale? Capita anche a me: la mia banca ha come cassieri una testuggine gigante e un suricata. Tu lo fai davvero, o è solo una trovata letteraria?
No, lo faccio davvero. Ma non solo con gli animali. E’ una cosa che mi ha attaccato mia moglie, quella delle somiglianze. Spesso ci troviamo davanti a un film, per strada o ad un programma televisivo e un viso subito ci riporta una somiglianza. Ci guardiamo e ormai siamo così dentro questa malattia che neanche ce lo diciamo, tanto per noi è ovvia quella somiglianza. Una per tutti? Il cantante Drupi e Romano Prodi. Fratelli separati dalla nascita. Uno s’è fatto crescere i capelli e s’è dato al pop, l’altro più serio ha studiato.
Altra cosa divertente sono le parole difficili che Marina usa per lanciare messaggi a Rocco. Ho provato a cercarne una e ho trovato questa, non so se sia difficile, sicuramente è abbastanza inutile, ma magari potrebbe farti comodo: Arachibutyrofobia.
Dovrei andare a leggere sul dizionario per scoprire il suo significato. E’ pure difficile pronunciarla. Aspetta. E’ la paura che il burro di arachidi si attacchi al palato! Ecco, questa fobia non la conoscevo. Credo colpisca in gran parte gli americani, noi grazie a dio quella schifezza pe colazione ce la risparmiamo. No Marina lancia messaggi subliminali al marito. In realtà è un gioco che mi prendo col personaggio. Sono io che le lancio a lui e cerco di fargli capire come sta andando la sua vita. Lui al gioco ci sta, e finge di non capire. Ma le capisce eccome!

Con Rocco hai creato un personaggio seriale. Non hai paura che la serialità possa diventare limitante?
Certo che sì. Ne ho il terrore. A dirla tutta io avevo pensato a lui come protagonista di un libro. Ora invece mi è esploso in mano. E ho paura di appiattire il racconto.

So che ami le favole che, pur essendo un’espressione di intrattenimento, nascondono sempre una morale. Tu credi che un libro possa essere solo un piacevole svago, un’evasione temporanea dalla realtà o pensi debba sempre per forza avere un messaggio da trasmettere?
Non è così importante tramettere messaggi coi libri. Semmai preferisco pensare di trasmettere delle emozioni, indurre delle riflessioni, camminare insieme al lettore in una storia per vedere come va a finire. E gli incontri con i lettori hanno questo di bello: che ognuno poi dentro il racconto porta il proprio vissuto. Sviluppa il libro, e parlarne diventa una bella esperienza. Critica e migliorativa.

Tu come lettore, cosa ami leggere?
Romanzi, è ovvio. Devo alternare i grandi scrittori con i “rischi” ossia quegli scrittori che non conosci e che affronti per pura curiosità. A cadenza fissa, come fosse un mantra, mi leggo un paio di racconti di Cechov fra un libro e l’altro. Aiutano a risettare la testa.

Interrompi la lettura di un libro se…
Mi annoia e non ci trovo niente che mi prenda da un punto di vista emozionale oppure intellettuale. Però prima di mollare tengo duro. Nel senso che almeno cento pagine me le sparo. Nel caso di un racconto una ventina. Ci sono libri che sono come il diesel, prendono i giri dopo un po’, e altri sprintano immediatamente. Quindi 100 pagine mi sembra un’unità di misura ragionevole per decidere se continuare o mollare. Quando invece incontro il libro disonesto allora quello finisce nel termocamino.

cristina aicardi

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