“Quarantacinque anni, uomo di grossa corporatura, fanatico di calcio bosniaco al punto da portare con orgoglio un tatuaggio di Safet Sušić sul bicipite destro. Tirò un sospiro, bevve un sorso di rakija alla pera che teneva nascosta nel cruscotto, spense l’autoradio, scese dalla Bravo brandendo il fucile a pompa e si avvicinò all’entrata, camminando con passi lunghi e ben distesi sulla ghiaia. Non aveva l’aria da duro o da cattivo. Sembrava piuttosto un placido distillato di entrambe le qualità…”
(M. Righetto, Bacchiglione Blues, Perdisa, Ozzano dell’Emilia 2011, p. 9)
Veneto, oggi.
Indomiti abitanti dell’umida terra selvaggia che si estende lungo i due argini del Bacchiglione come una “Luisiana occidentale”, Tito Pasquato, Ivo Sborin e Toni Drugo detto Luamaro -tre pericolosi idioti dallo spessore psicologico di ramarri che si crogiolano al sole, sempre pronti ad assecondare i loro “istinti western”, e per di più rimpinzati di cartoni animati e serie televisive anni ’80- tentano il colpaccio sequestrando Gianna Barbato, moglie di un facoltoso industriale del ramo dello zucchero.
L’intenzione è semplice: richiedere un riscatto di un milione di euro.
Quello che i tre non sanno è che Primo Barbato, marito della donna e proprietario del “La Padana”, unico zuccherificio di Campogrando, non ha alcuna intenzione di pagare, e che, non potendo avvisare la polizia per via di qualche “piccola irregolarità” commessa nel tentativo di mantenere il suo zuccherificio al riparo dalla crisi economica, ha assoldato un paio di superstiti della Mala del Brenta per recuperare il malloppo a scambio avvenuto…
La fedeltà di Matteo Righetto ai dettami del manifesto di “Sugar Pulp” (http://www.sugarpulp.it/manifesto) è fuori discussione: i lettori del precedente Savana Padana (Zona Editore 2009), hanno già visto il trentottenne professore di lettere padovano alle prese con un romanzo veloce, ipercinetico, cinematografico, dialogico, ironico, “pulp”, capace di conciliare la chiara ispirazione americana con la curata, curatissima ambientazione veneta (e, d’altra parte, il manifesto allude ai “profumi di sangue e zucchero della Bassa, dei campi di mais”, alle “case coloniche, le osterie, i colli, gli ippodromi, il mito della Romea e del Delta”).
Ma, se la formula di Bacchiglione Blues non è poi così lontana da quella di Savana Padana, in virtù di un respiro leggermente più lungo, di qualche rinnovato accorgimento (da segnalare, per esempio l’incipit che, vedendo protagonista il “comprimario” Zlatan Tuco, conferisce alla storia un andamento vagamente eccentrico e inaugura l’“inseguimento” fin dalla prima riga), di un intreccio più “classico”, più collaudato e dunque più adatto a richiamare l’attenzione del lettore (che, per convenzione di genere, si ritiene informato sui futuri sviluppi della vicenda) sulle sgangherate scelte stilistiche, sulla narrazione volutamente (e piacevolmente) “minore”, sul cattivo gusto (giustamente compiaciuto) nella scelta dei personaggi e sulla riuscita ironia, il nuovo romanzo risulta più maturo e compiuto.
Il tono “americano”, lampante fin dal titolo (ma quel “blues” ha motivo d’essere, come i lettori scivolati nella spirale del romanzo non tarderanno a scoprire), riaffermato con la scelta di stile e modi di scrittura tipici di una certa letteratura di genere d’“importazione” (e, d’altra parte, numi tutelari di Sugar Pulp sono l’ormai mitico Joe R. Lansdale, e il chiassoso Victor Gischler), con la costruzione post-tarantiniana dei dialoghi ecc., è rafforzato dall’esplicito ricorso al termine “western” (impiegato, già nelle prime pagine, per definire il carattere dei tre sgangherati protagonisti), dall’uso delle improbabili metafore, che attingono a un immaginario tutt’altro che nostrano (a quale veneto verrebbe mai in mente un’anaconda?!?) e dalla comparsa di un paio di Testimoni di Geova facenti funzione di “predicatori vaganti”.
Tanto per impreziosire l’esplosiva miscela, Matteo Righetto butta nel calderone una manciata di animali esotici (da segnalare la “nutria bianca”), un minaccioso energumeno bosniaco in attesa di ricevere il suo compenso per un misterioso “lavoro”, e un paio di irriverenti riferimenti alla cultura “istituzionale” (si veda, per es. l’improprio uso, fatto a p.45, della pagina culturale del “Mattino di Padova” – quotidiano peraltro “colpevole” di aver dato spazio alle polemiche di chi riteneva che Savana Padana denigrasse il paese di S. Vito nel quale era ambientato…).
E così, se il già convincente Savana Padana costituiva, in quanto pregevole primo oggetto esplicitamente ispirato al manifesto, il prototipo di ogni romanzo Sugar Pulp “post litteram” (meritando una segnalazione “storica” accanto a quella “semplicemente” estetica), le pagine ironiche, furiose, alcoliche e zuccherine di Bacchiglione Blues rischiano di restare appiccicate alle mani del lettore, rincorrendosi a ritmo vertiginoso dalla prima all’ultima…