La casa è il luogo della memoria, degli affetti: che sia vissuta o no, abitata o lasciata è sempre un punto di riferimento, ha una funzione simbolica di entrata e uscita e in questo thriller psicologico esprime la sua valenza, legata al senso di appartenenza e identità.
La vita di Maya Edwards è tormentata da un passato con cui ancora fa i conti: quando aveva 17 anni la sua più cara amica Aubrey è morta in circostanze ancora misteriose.
Aveva appena parlato con un affascinante bibliotecario, Frank, per cui la stessa Maya aveva una cotta, e poco dopo era finita a terra senza vita.
Un caso inquietante: senza armi, senza veleni, senza movente. Solo la profonda convinzione, in Maya, che Frank fosse in qualche modo coinvolto.
Maya decide di ricostruirsi una vita altrove e lascia la sua città. Sette anni dopo assiste casualmente a una scena, guardando un video sul web, dove una donna muore nelle stesse circostanze di Aubrey e accanto a lei c’è un uomo in cui riconosce il bibliotecario, l’enigmatico Frank.
Maya decide di tornare a casa, a Pittsfield, dove casa è il luogo della cura, l’unico che davvero conta ed è lì che riuscirà a trovare le risposte che cerca.
La sua vita è pervasa da un passato che ancora la insidia: il dubbio che Frank sia coinvolto prende maggior consistenza, ma i suoi ricordi non sono chiari.
Da tempo assume benzodiazepine, per contrastare insonnia e stati di ansia, e non può far affidamento sulla memoria: in lei convivono immagini contrastanti. In un attimo ha tutto davanti agli occhi, l’attimo dopo non ha alcuna certezza.
Nella nebbia dei suoi pensieri si affaccia prepotente il ricordo di una casa: non è solo il capanno del bosco accanto al torrente, è reso dall’autrice come il senso della nostra profonda fragilità, del forte bisogno di recuperare identità.
Il ritorno al suo luogo d’origine ci disegna Maya tormentata dai ricordi, dal timore che Frank possa davvero avere ucciso Aubrey. È così che si avventura in quel bosco, dove la sua non sarà la sola ricerca dell’assassino, ma la ricerca di quel luogo e nei suoi simboli, un luogo che le appare, confuso: la casa, il capanno, il torrente.
È un tornare a fare i conti con la vita precedente, con le relazioni, con le dinamiche familiari, con i buchi della memoria, con le sue relazioni sempre in bilico.
Ma questo thriller, denso di simboli e fortemente ipnotico, è anche la storia di un’amicizia, un affetto che continua oltre la morte. Di un rapporto genitoriale – quello dei genitori di Maya – attraversato dalla guerra civile, in Guatemala, di una crescita difficile e tormentata.
Il tema del capanno mi ha ricordato la poesia di Jozefina Dautbegovic La compravendita con il suo forte attaccamento alla casa e agli oggetti e a quanto questi hanno significato, nell’esistenza di ciascuno, ma non solo.
La casa non è esclusivamente il luogo che ci accoglie, il rifugio. È anche il posto da cui partire, per rivolgersi al mondo.
Casa dolce casa – Ana Reyes
Marinella Giuni