Fortuna criminale – Fausto Gimondi



Fausto Gimondi
Fortuna criminale
Longanesi
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Una storia vera al limite dell’incredibile che Fausto Gimondi alla sua prima esperienza da scrittore condisce di fantasia ed avventura. Si immedesima nella parte di Mario Santini, giovanissimo scommettitore nella Milano che aveva già smesso di essere da bere e si dibatteva tra fine dei sogni, impoverimento, criminalità sempre più aggressiva ed invasiva. Al giovane Mario, Gimondi fa interpretare la parte dell’ “imbucato”. Incallito giocatore- a qualunque cosa, dal trotto alle carte- Mario percepisce che nell’ambiente si muove qualcosa di grosso. E quel qualcosa di grosso è la truffa al Lotto. Realmente tentata e riuscita tra il febbraio del ’95 e lo stesso mese di tre anni dopo, nel ’98. Sulla ruota di Milano. Ad idearla e a metterla in pratica da un oscuro dipendente della intendenza di Finanza di via Manin, Milano. Una stangata costata allo stato sessanta miliardi di lire. Mettere a punto il raggiro che sembrava impossibile costò al grigio usciere milanese anni di esperimenti  e di prove. Finché  grazie allo studio, allo spirito di osservazione, alla costanza riuscì ad elaborare il piano. Che all’inizio coinvolgeva  pochi, necessari complici. Tutti modesti impiegati dello Stato o piccoli esercenti da trilocali di periferia.  Con il trascorrere  del tempo e delle fortunate vincite, le voci ” giravano” e la storia del Lotto con il trucco si diffuse a cerchi concentrici. Alla fine erano diverse decine di persone in tutta Italia che giocavano gli ambi e i terni suggeriti da Peppino, lo Zoppo. Ad ascoltare quelle voci anche Mario Sestini, stanco di perdere e ossessionato dalle vincite che ti cambiano la vita. La ricostruzione romanzata di Gimondi ha per buona parte un unico protagonista, proprio Mario all’inseguimento con la sua banda di amici ventenni,  dei numeri magici e desideroso di entrare ad ogni costo nel giro delle rivelazioni dello Zoppo. Una storia dentro la storia, che corre in parallelo, disseminata di insuccessi perché Mario si accompagna ad un gruppo di amici, improbabili criminali. Fabio, Davide, il Budda..La banda ombra, una sorta di falange clandestina che fa scorrere  le giornate nei tentativi falliti di appropriarsi  dei numeri magici di Peppino. Sarà il più sobrio tra loro, Mario che riuscirà a carpire il segreto della banda del Sidol. E di quelle magiche lucide palline che al tatto i bambini estrattori riconoscevano . Le palline lucide contenevano i numeri vincenti sulla ruota di Milano. 24;26;66;90 , la prima giocata vincente di Mario e del suo gruppo. Quindicimila lire investite e 250 milioni vinti. Era la via maestra alla lotta di classe, senza merito e senza fatica. Gimondi accompagna lo ” sballo” di questi ragazzi che a vent’anni viaggiano in Porsche, si permettono vacanze da nababbi a Montecarlo, pasteggiano a champagne, e l’unico impegno che hanno è quello di compilare schedine vincenti. La pacchia dura tre anni. Non un mese di più. A bruciare il meccanismo il numero eccessivo di persone coinvolte, le invidie, il desiderio di vendetta. E soprattutto quelle ” voci” che a forza di girare erano arrivate alle orecchie di un clan criminale pugliese. Assassini, trafficanti ed  estorsori che trovavano più redditizio e meno pericoloso truffare lo stato che occuparsi di smerciare droga. Quando lo Zoppo decise di mettere fine alla Ruota della Fortuna e chiese il trasferimento, i criminali che avevano cominciato a ruotare attorno ai numeri del Lotto non esitarono a ricorrere alle minacce, alle intimidazioni. Esplosero addirittura delle bombe per indurre Peppino Trovato a tornare sui suoi passi. Intanto anche la polizia aveva cominciato ad indagare su quelle vincite che sbancavano il Lotto, su quei poveri cristi improvvisamente diventati proprietari immobiliari, sulle ” voci” e le antipatie che si rincorrevano. Ultima giocata baciata dalla Fortuna, il 18 febbraio del 1998. Per tre anni l’usciere dell’intendenza aveva regalato ricchezza e felicità a familiari, parenti, amici ed anche nemici. E per tre anni aveva beffato lo stato con un sistema tanto semplice quanto ingegnoso. Per lui che non aveva mai giocato ma si limitava a riscuotere il dieci per cento da ogni vincita- era arrivato il momento di cambiare aria. Trasferito a Monza non poteva più truccare. Stremato dalle minacce e dai ricatti Peppino Trovato capitolò nel settembre del 1998. E con la sua confessione tutto il castello crollò. Mario si lascioò cogliere senza sorpresa dai finanzieri all’alba nel suo attico al centro di Milano. Aveva 22 anni. Una vita sulla cresta dell’onda. E adesso la caduta. La pena fu lieve, come per quasi tutti i condannati dell’inchiesta che andò a sentenza nel dicembre del duemila. Quasi tutti i protagonisti e i comprimari di questo kolossal all’italiana finirono sul lastrico. Costretti a restituire  il maltolto allo Stato ,sperperarono miliardi, senza riuscire a mettere a segno la Grande Rivincita sulla Vita. Anche per Mario che non perse il vizio del gioco- l'”unica adrenalina della vita”- alla fine la Ruota aveva smesso di girare nel verso della Fortuna. 

Rossana Livolsi

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