26 settembre 2018:…
Più di un anno prima… il carabiniere aveva fatto fuoco per impedire che il coltello fosse spinto nella carotide dell’ostaggio, nella carotide di Carlo Marchi. Per fermare la terrorista e prenderla viva… ma la spinta del colpo, a distanza ravvicinata, fece ruotare il corpo della donna , incollato a quello del giornalista. Mentre forzati dalla gravità i due corpi allacciati superavano la balaustra, e cadevano insieme nel vuoto dalla passerella di Gotham City….
Dopo il nulla del coma e del buio totale, fino a una ventina di giorni dopo, giovedì 15 ottobre, con il miracoloso e insperato risveglio di Marchi a Careggi, nel letto di Terapia intensiva. Poi però i lunghi, interminabili mesi d’inferno, di insopportabili dolori appena attenuati dalla morfina, con i medici che gli spiegavano che era stato fortunato. E anche se stava male, malissimo anzi da cani, si era dovuto convincere che avevano ragione, perché intanto dopo essersi sfracellato come una frittata sul cemento di Gotham City, il Palazzo di Giustizia di Firenze, solo protetto dal corpo della sua quasi assassina, con conseguente emorragia cerebrale e fratture dappertutto, era ancora vivo e non chiuso in una bara sottoterra. Poteva toccare, vedere e carezzare sua figlia Donata che aveva rifiutato di andare a Bologna dalla madre, da Monica la sua ex moglie, e, anche grazie al sostegno dell’avvocato, aveva continuato la sua vita di sedicenne parcheggiata da Anna, la sua fantastica baby sitter.
E , pur costretto ad affrontare mesi di interventi che si susseguivano uno dopo l’uno dopo l’altro con successo ma implacabili con il loro corteo di indicibili sofferenze, lasciandogli tutto il tempo di fare e rifare i conti con le fratture di vertebre ed ossa provocate dalla sua rocambolesca caduta, ora Carlo Alberto Marchi è finalmente a casa, è uscito dall’ospedale.
Ciò nondimeno pur passati sei mesi, ormai quindi a più di un anno di distanza, la complessa fase di riaggiustatura, gli accolla ancora pesanti conseguenze morali e materiali. Intanto più volente che nolente, nonostante le raccomandazioni, dipende ancora dagli antidolorifici, roba molto pesante, anche se evviva, evviva, regolarmente costretto alla tortura di sedute massacranti di riabilitazioni, è arrivato a usare solo una delle stampelle con le quali era uscito dall’ospedale. Però, come se non bastasse, è perseguitato da una specie di inarrestabile fischio ad alta frequenza che gli ruba la pace del silenzio, E forse gli provoca anche quei spaventosi incubi notturni come l’ultimo nel quale si è trovato angosciosamente a confrontarsi con una pistola puntata contro il padre morto.
Messo in aspettativa per malattia dal Nuovo e costretto a stare lontano dalla redazione, è in fase di rinnovata convivenza con Donata ormai sedicenne, ferma, protettiva ma giustamente in piena età di affermazione adolescenziale e di cauto ma affettuoso riavvicinamento di Olga, avvocatessa ed ex fidanzata. Ma è evidente che tenersi lontano dal lavoro, dalla carta stampata, gli brucia. Per forza, insomma non è facile starsene con le mani in mano quando poi uno per di più sa che la sua cronaca giudiziaria è stata affidata alla sua sostituta, la Marconi, la nuova, piuttosto in gamba sempre in tiro nonostante le scarpe tacco dodici e solo vogliosa di farlo pensionare anzitempo.
Per fortuna è in continuo contatto con l’Artista, il gran signore, il collega di Nera con cui ha sempre condiviso molto: casi, delitti, battaglie ed emozioni. Un amico, un vero amico.
Eppure, proprio in quel momento la sua reputazione di correttezza nella professione e le sue conoscenze tra i giudici e le forze dell’ordine, faranno di lui un’indispensabile pedina per il giornale. Una punta di diamante, il possibile informatore e punto di contatto tra la stampa e le forze dell’ordine. Il suo lavoro, ha bisogno di lui, Lorenzoni il capocronista del Nuovo gli telefona e gli chiede ufficiosamente di sfruttare i suoi agganci, per indagare sul delitto o meglio sull’omicidio di Giorgio Mati il paninaro, avvenuto alle sei del mattino circa, suo orario di chiusura alle Cascine, il parco pubblico di Firenze (160 ettari), quel meraviglioso polmone verde che però durante la notte racchiude e nasconde oltre la flora anche tante porcherie.
Mati, era il gestore del famoso furgone“Da Giorgio”, che da sempre vendeva bibite, focacce e panini ai viandanti notturni affamati, dove tante volte anche Marchi a fine turno aveva mangiato e bevuto in compagnia di poliziotti e trans.
La vittima, è stata ritrovata uccisa da una tripletta sparata con una pistola a distanza ravvicinata , un colpo in fronte e due al petto. Presumibilmente dunque da un professionista. Ma quello che salterà fuori subito, addirittura fin dalle prime indagini è quasi una bomba in grado di scuotere tutta Firenze. L’uomo che passava per un tranquillo paninaro di mezza età nascondeva invece un sanguinoso passato di militanza sovversiva. Anche i proiettili che l’hanno ucciso, si appurerà, sono stati sparati da un arma implicata in diversi omicidi, anzi alcune tracce rimanderanno con la matematica precisione la squadra mobile e i servizi segreti agli anni più bui della lotta armata fiorentina. Quegli anni, fatti di idealistiche ma illusorie rivendicazioni di eguaglianza, portate ferocemente avanti solo con il piombo, la lotta armata e le insensate stragi che hanno coinvolto tanti innocenti Ma e soprattutto la stessa arma era stata usata anche per il proditorio assassinio nel 1999, durante una rapina, un’arma con la quale era stato giustiziato un direttore di banca. Un omicidio al quale finora, ignorando nomi e volti dei veri colpevoli, non si era mai potuto trovare o dare risposta. Una risposta alla quale ora però Carlo Marchi è convinto di avere diritto. Un diritto il suo, assoluto, di sangue, che lo costringerà a coinvolgersi di persona nelle indagini.
Un romanzo particolare in cui due diversi percorsi narrativi si sfiorano, si toccano si incrociano e si affiancano in una narrazione stringente e serratissima per raggiungere alla fine un’amara angosciosa spiegazione e congiungersi per riportare alla luce la verità. Un romanzo che ci regala un Carlo Marchi, più amaro e beffardo e più che mai determinato ad arrivare fino in fondo. A ogni costo.
Ancora una volta Paoli conquista il lettore con la sua nuova tragica avventura. Immaginatata soltanto, oppure? Con il suo intrigante Noir alla fiorentina che stavolta ci rimanda indietro a consultare in archivio tante brutte pagine di storia. L’Italia di oggi che si spera e si vorrebbe migliore è figlia e nipote di quella troppo spesso involontariamente o magari volutamente dimenticata.
Ho aperto lo sportello ai ricordi e con questo spirito ho letto e poi riletto questo sua quinta romanzo in cui ancora una volta Gigi Paoli sfrutta con diabolica abilità la sua quotidianità e la sua esperienza giornalistica. Esperienza che l’ha portato a creare una fitta ma equilibrata rete di personaggi, perfetti interpreti e comprimari delle sue storie, e a servirsi della sua città come irrinunciabile palcoscenico.
Le sue giornate spaziano sempre tra i locali, attenti, segnatevi tutti i nomi dei ristoranti e delle mescite, ne vale la pena. E poi le vie, le piazze e i luoghi di una Firenze, spesso meno conosciuta. Sempre avanti e indietro stavolta soprattutto con gli amici più legati alle forze dell’ordine e con il Palazzo di Giustizia, ormai diventata Ghotam City per tutti.