Fiori sopra l’inferno è l’esordio letterario di Ilaria Tuti con Longanesi. Il romanzo è ambientato a Travenì e segue le indagini del commissario Teresa Battaglia per scoprire l’identità di un misterioso assassino in grado di compiere degli atroci delitti.
Dopo aver già recensito qui Fiori sopra l’inferno, abbiamo la possibilità di fare una breve chiacchierata con Ilaria Tuti.
Grazie Ilaria, la redazione di Milanonera ti ringrazia per la tua disponibilità a questa breve intervista.
Grazie a voi, è un piacere.
Senza volerti trasformare in una venditrice porta a porta, hai qualche riga per convincere i lettori a perdersi tra le pagine di Fiori sopra l’inferno. Stupiscici.
Un invito a seguire i personaggi di questa storia in una caccia nel bosco:
“Teresa gli fece cenno di tacere. Da quando aveva mosso il primo passo nella foresta, avrebbe giurato che qualcuno la osservasse. Si era detta che era solo suggestione, ma non credeva che provocasse anche allucinazioni uditive. Raccolse un ramo e lo spezzò tra le mani. Più su, una ventina di metri a est, risuonò lo stesso rumore.
«Non è un animale» disse, il respiro mozzato. «È mimesi.»
C’era qualcuno là sopra, nascosto tra la bruma e le ombre che si stavano allungando. Qualcuno che aveva appena iniziato un gioco con loro e che sapeva di essere al sicuro. Gole e anfratti rendevano impossibile iniziare una battuta di caccia con l’oscurità in arrivo.
Così, protetto dalla montagna e dal buio, lui intanto li osservava.”
Chi è Ilaria Tuti, quali sono i suoi maestri letterari e perché ha scelto di scrivere thriller?
Sono una persona riflessiva e pacifica che scrive di delitti efferati. Sembra una contraddizione, ma la psiche umana mi affascina e sono convinta che il thriller, come genere, si presti molto bene a indagarne le pieghe più nascoste. Offre terreno fertile per riflessioni su ciò che ognuno di noi, potenzialmente, potrebbe essere spinto a fare, perché, come dice la protagonista del romanzo, i mostri non esistono: ogni assassino seriale è stato un bambino che ha sofferto e in quella sofferenza c’è l’origine del male.
Adoro Stephen King, la sua capacità di creare mondi, di immergere il lettore nelle esistenze dei personaggi. King non è confinabile in un genere, perché nelle sue storie c’è tutto: sentimento, suspense, thriller, avventura, horror (non sempre). Vi affonda le mani e restituisce spaccati di vita. Amo i romanzi di Donato Carrisi. Non mi stancherò mai di dire che è grazie alle sue storie che ho iniziato a scrivere le mie: le suggestioni profonde che crea e l’architettura geniale dei suoi romanzi sono eccezionali.
Leggo Primo Levi e penso che difficilmente si incontra una simile chiarezza di pensiero, così pura e potente da sospendere il tempo. C’è molto da imparare dalle opere che ci ha lasciato, come esseri umani e come scrittori e lettori.
Così come c’è molto da imparare dalle poesie di Alda Merini: la vita, l’amore, la sofferenza nei suoi versi diventano fuoco. È tenera, sensuale, profonda, soave: splendidamente donna, una creatura speciale.
Se tu e Teresa Battaglia vi trovaste a un tavolino di un bar, di cosa parlereste?
Questa domanda è stupenda. Teresa prima di tutto l’abbraccerei, forte. Parleremmo del suo goffo sottoposto Marini, ridendo alle sue spalle, e poi di criminologia, una passione che abbiamo in comune. Le chiederei come sta, della stanchezza che a volte le sembra insostenibile, perché Teresa ce l’ho nel cuore e mi fa tenerezza, con la sua forza ostinata nonostante le avversità e le fragilità. Mi preoccupo per lei come se fosse vera. Ormai è una compagna.
La tua storia non può essere raccontata in un altro scenario, è – a tutti gli effetti – un protagonista fondamentale. Vuoi parlarci del tuo legame con le montagne e il Friuli?
Sono nata e vivo in un paese ai piedi di una montagna. Ho un legame profondo con la mia terra, che ho iniziato ad amare veramente solo in età adulta. Ho dovuto maturare per ricominciare a guardarla con l’incanto di quando ero bambina. Ora mi sento parte della sua storia millenaria, sono orgogliosa delle antiche tradizioni che vi si tramandano, della forza dimostrata dalla sua gente anche nei momenti più tragici, come il sisma del 1976. Nelle mie storie diventa protagonista perché la sua natura è ricca di simboli e suggestioni, è forza atavica, e da questa forza traggo anch’io la mia.
Dove e quando è nata Teresa Battaglia e come ha fatto a finire a indagare in Fiori sopra l’inferno?
Teresa è nata nella mia testa qualche anno fa. Vidi l’immagine di questa donna non più giovanissima, china su fogli e appunti. Mi suggerì tre parole: memoria di carta. Mi chiesi che cosa si provi nel rendersi conto che la propria memoria si sta sgretolando, e con essa i ricordi di una vita, la propria identità. Ho voluto dare voce al suo dramma, ma anche alla tenacia e alla splendida luce della sua anima, che la malattia non può offuscare. Le ho dato un nome – Teresa Battaglia – ricco di significati e l’ho immersa nei paesaggi che amo e conosco, ad affrontare un caso che metterà alla prova l’arma più affilata di cui dispone: l’abilità come profiler, e quindi la sua mente.
La letteratura è solo intrattenimento o c’è qualcosa in più?
È un modo per raccontare la vita, anche attraverso l’intrattenimento. Ce lo insegnano le fiabe, le leggende della tradizione orale che i nostri antenati si raccontavano la sera, attorno al fuoco, per superare paure ataviche. Per me il thriller è anche questo: una favola nera che ti insegna a guardare il buio, ad affrontarlo, come un bambino con l’Uomo Nero.
Grazie mille e buona scrittura.
Grazie a voi, per la chiacchierata e per le parole stupende con cui mi avete accolta.
Qui il link alla recensione a Fiori sopra l’inferno