Genova, il ’68



borzani
Genova, il ’68
frilli
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Mitici quegli anni.
Al di là di ogni polemica, seppure tenendo ben presente gli eccessi dei successivi Settanta di cui sono stati il frizzante e ingannevole preludio, non si può negare che ’68 e dintorni nel bene e nel male abbiamo scavato un solco fra il prima e il dopo. Che abbiano diviso la popolazione in due grandi gruppi: chi li ha vissuti, e chi no, chi c’era e chi faceva altro, chi contestava e chi si apponeva. Gente che quarant’anni dopo non ha ancora smesso di guardarsi in cagnesco anche se tutti, senza distinzione, di quella magica e tragica stagione conservano almeno un ricordo e non importa se fondato sull’esperienza propria o altrui.

Il mondo occidentale allora era tutto un fermento, come se un poderoso brivido partito da Parigi avesse percorso le città propagandosi in cerchi via via sempre più ampi come le onde sonore, dagli Appennini alle Montagne Rocciose, dai Vosgi alle sierre. E l’Italia, appena uscita con dolore e mestizia dalle ristrettezze del dopoguerra, non faceva eccezione. Torino, Milano e Roma proprio in quell’anno furono scossi da fremiti di ribellione e voglia d’altro. E Genova, la città dell’acciaio e dei camalli, che faceva?
Magica Genova! Da troppi tempi decenni in bilico fra crescita post industriale e decadenza, agli occhi del resto dell’Italia sembrava che avesse assorbito l’onda d’urto delle contestazioni con parsimoniosa riservatezza, regalando in cambio della generale disattenzione la splendida musica di una generazione di cantautori.
Ma è stato davvero così silenzioso e indolore il suo ’68? E gli scontri fra rossi e neri, in una città tradizionalmente divisa in due perfino dal calcio locale, che livello di allarme hanno suscitato?
Nel quarantennale di quella che fu una vera e propria rivoluzione: sociale, culturale, politica e di classe, in mezzo ai tanti libri scritti dai protagonisti che oggi hanno chi i capelli grigi, chi qualche incarico politico, chi una cattedra in quella stessa università che allora occupava, ne ho scovato uno che racconta, attraverso le testimonianze de protagonisti, attivi e passivi, cosa fu il ’68 ai piedi della Lanterna. E, guarda guarda, fra le tante voci c’è anche quella di un personaggio straordinario. Non uno studente e neppure un operaio dell’Ansaldo, ma un attore. Anzi, un capocomico che si scriveva da sé, con la moglie, le proprie commedie: Dario Fo.
Questo libro, opera della joint venture fra Donatella Alfonso, giornalista di La Repubblica e Luca Borzani, oggi ricercatore e saggista, è il dossier di un’inchiesta che risale la china del risaputo per arrivare a fare luce sul passato in ombra di una città la cui riservatezza è seconda solo alla sua fierezza.

adele marini

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