Già noto alle forze di polizia



dominique manotti
Già noto alle forze di polizia
tropea
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Dominique Manotti ha una scrittura che aggancia.

Ci riesce fin da subito, intersecando i personaggi, arricchendo le vicende di particolari psicologici e affondando l’atmosfera in ambienti sudici e complicati.

L’inizio di Già noto alle forze di polizia è esattamente così. Parte senza mezzi termini, crudo e sgrezzato come stesse accadendo davvero: alcuni poliziotti corrotti vanno a riscuotere l’incasso delle prostitute. Per loro, a sentirli parlare, non è poi così immorale. Le hanno tolte dalla strada e portate in un parcheggio multipiano. Sono al sicuro.

Anche Le Muir, detta La Muraille (muraglia), bionda dallo chignon impeccabile, arrivista e senza scrupoli, non è che la pensi proprio diversamente. Lei non fa certo la “pappona” e con le prostitute non ha nulla a che fare ma, da commissario di Panteuil, si comporta molto poco moralmente. È antighetto, anti-immigrati, anti-zingari e ha il vezzo politico ben pronunciato.

Una di quelle donne così forti e arrampicatrici che solo per pensare di farci del sesso ti serve un mese di ferie.

Le Muir ha amici importanti, gente in alto. Ma più in alto vai più nemici ti crei, perché fondamentalmente ti sporchi un po’.

Mentre chi sta sotto di te, chi pattuglia le strade, continua a fare l’equilibrista in bilico tra bene e male, tra giusto e lecito per portarsi a casa la pellaccia anche quest’ennesima giornata.

È molto politica la scrittura della Manotti, frutto di un passato pregno di esperienze e militanze in gruppi di natura politica. Il suo è un raccontare dell’oggi, che avanza pretese nei confronti di una quotidianità violenta e ormai deplorevole. È per questo che, come detto in apertura, ti agganci“. Perché racconta qualcosa che esiste ed è proprio fuori dalla tua porta.

La Francia non è poi così distante. E non solo geograficamente.

Alla fine della fiera la Manotti non condanna forse nessuno. Magari perché tutti, sotto sotto, dovrebbero essere condannati.

E forse non c’é nemmeno una fine vera a propria alle vicende che ci narra. E anche per questo, probabilmente, un motivo c’è.

massimo versolatto

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