Scorciatoie per l’inferno



James Ellroy
Scorciatoie per l’inferno
mondadori
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Il caposcuola del noir americano rende un commovente tributo – con un volume di racconti da lui curato – a Joseph Wambaugh, ex poliziotto e scrittore, assieme al ricordo della propria adolescenza disperata passata fra alcol, droghe, detenzioni e biblioteche.
“Sono assolutamente convinto che Joseph Wambaugh sia il migliore. E’ lui lo scrittore da cui sono stato maggiormente influenzato.” James Ellroy
“La sagoma tracciata con il gesso. Le chiazze di sangue. Gli uomini instupiditi dal sonno attorno alla scena. Il malvivente fiancheggiato da due omaccioni in divisa. Batte le palpebre accecato dai flash. Sta sollevando un dito. Sta mandando a quel paese il mondo regolare. Don DeLillo l’ha definita ‘l’epica al neon del sabato sera’. E’ il crimine.” Così afferma James Ellroy nell’introduzione all’antologia noir Scorciatoie per l’inferno. Storie vere dal mondo del crimine.
Chi meglio dello scrittore statunitense, emerso dagli inferi di Los Angeles, poteva commentare l’opera?
La storia del romanziere californiano è nota: ne aveva già parlato in I miei luoghi oscuri. Un testo scritto e vissuto come un incubo senza fine, un’indagine scioccante e indiscutibilmente vera a ritroso nel tempo. Narrato con il solito stile dalla prosa dura e telegrafica, dall’alta intensità emotiva. Fin dall’inizio: “La trovarono dei ragazzi…” Chi, dove e quando? Geneva Hilliker Ellroy, scomparsa dalla sua casa di Del Monte – un sobborgo di Los Angeles – la notte del 21 giugno 1958 e brutalmente assassinata. La madre di James Ellroy, che all’epoca aveva 10 anni. Era appena tornato da un week-end col padre quando un poliziotto gli disse “Figliolo, tua madre è stata uccisa.” Lui non pianse. “Devo dire la verità, due secondi dopo mi misi a scherzare.”

La venere dal profumo penetrante che fumava sigarette L&M, beveva bourbon marca Early Times e che morì come la Dalia Nera, il cui cadavere ridusse l’allora pre-adolescente in una larva umana. Un effetto devastante, che provocò ferite non cicatrizzabili nell’anima e nel corpo del giovane Ellroy, trasformandolo in un piccolo delinquente alcolizzato. A 17 anni beveva vino da bottiglie di plastica e si drogava rompendo inalatori di benzidrina, ingoiandone il contenuto. Finì in una casa di cura, a causa delle “voci” che gli rodevano la testa. Alla fine gli diagnosticarono un danno permanente al cervello.
Ne uscì nel 1977. Gli bastarono dieci anni per trasformarsi nel celebre scrittore “maudit” del noir. E, come scrisse in Corpi da reato: “La morte di mia madre corruppe e ingagliardì la mia immaginazione. Mi liberò e al contempo mi imprigionò.

Si appaltò il mio curriculum mentale. Mi laureai in omicidio con specializzazione in donne vivisezionate. Crebbi e scrissi romanzi sul mondo maschile che sanciva le loro morti.” Un’immersione totale nel ventre molle dell’America e in un’anima, la sua, in cerca di pace. Un passato delirante, un “viaggio nell’incubo”, l’ennesima prova per James Ellroy. Avvezzo a far vivere ai lettori veri brividi tra cadaveri, delitti brutali, sesso allucinato, violenze e pericoli vissuti indistintamente da psicopatici, maniaci sessuali, vittime, investigatori, criminali, prostitute e uomini comuni.
Ora questa raccolta di reali storie criminali ne rappresenta la naturale continuazione: i più appassionanti, curiosi e a volte terrificanti misfatti accaduti negli Stati Uniti negli ultimi anni, redatti da alcuni fra i più affermati e importanti giornalisti investigativi d’oltreoceano, molti dei quali già vincitori del “Premio Pulitzer”.
Nel volume si narra di un originale reportage sulla schiavitù sessuale contemporanea, la singolare vicenda di un buon padre di famiglia che durante la notte si assenta da casa per predisporre una rete d’assaltatori di Bancomat sparsa in tutto il Paese, fino a giungere alla vicenda di un ladro d’argenteria che agisce all’interno dell’alta società di New York come un gentleman d’altri tempi, un Arsène Lupin odierno, insomma. Delle autentiche storie emerse dalle tenebre delle metropoli statunitensi e riportate da giornalisti/cronisti – del calibro di Jonathan Miles con Bulli, pugni e bar, redatto originariamente per il “Men’s Journal” e Philip Weiss in A caccia dell’assassino, steso per il “New York Magazine” – sui vari “New York Magazine”, “The New Yorker” e “San Francisco Magazine”, solo per citarne alcuni. Quindici vicende accadute negli inferni quotidiani degli USA, narrate con durezza, realtà, autorità e un pizzico di humor.
Il libro è impreziosito da un lungo racconto di James Ellroy intitolato I ragazzi del coro – proprio come un romanzo di Wanbaugh – che narra di come sia nata la sua passione per la “crime story” e, soprattutto, come sia giunto in gioventù a mettere in vendita il suo sangue per poter acquistare le opere del suo eccelso ispiratore.
Tuttavia si rilevano delle differenze sia stilistiche sia autobiografiche: la fortunata storia del suo mentore – da cui fu tratto il celebre film di Robert Aldrich – riferiva le vicende di un commissariato di polizia di Los Angeles nel quale si svolge una farneticante terapia d’urto: dieci giovani poliziotti sono sottoposti ad una serie di mortificazioni per farli abituare alle depressioni provocate dal lavoro. Alcuni di loro recano su di sé la tetra impronta della guerra in Vietnam, che li sospinge ad un impulso di rivalsa verso tutto e tutti. In un’esercitazione la situazione sfugge loro di mano e il gioco di prevaricazione diviene mortale, sgretolando la loro sicurezza e rispedendoli nel caos che si agita, privo d’impedimenti, in quei cervelli sfibrati.
All’opposto il racconto di Ellroy è, per l’appunto, una parte della propria esistenza. Ecco il suo incipit: “I debiti degli scrittori si accumulano nel tempo. Lo scrittore mette in chiaro le fonti della propria arte. Si guarda indietro. Fa l’inventario dei libri letti, dello stile e dei temi assimilati, delle grandi ferite che si è impegnato a ripagare su carta. Gli scrittori di thriller e delitti si rattristano per mostri da camera a gas e psicopatici sessuali. La mezza età ci porta a sottolineare i momenti. A reimmatricolare la nostra educazione criminale. La mia fu soprattutto di strada, e in sostanza malata di infantilismo. Fu uno stile di vita alla rinfusa. Fu stupidi furori. Fu libri letti, libri letti, libri letti. I libri erano rigorosamente crime. Magicamente, mutavano il dolore della mia infanzia. Mi offrivano una trasfusione narrativa. Mi davano il mio mondo, esagitato e carico di sesso. Gli scrittori andavano e venivano. Alcuni trasformarono l’evasione in uno studio quasi formale. Un uomo fu il mio rimprovero morale e il mio maestro perpetuo. Questo scritto è dedicato a lui. Era l’autunno del ’73. Avevo venticinque anni. Ero cautamente scatenato a L.A. Emanavo vibrazioni grottesche.”
Quindici “crime story” che culminano nelle tenebre agghiaccianti e brutali delle metropoli statunitensi. Città nelle quali i quindici narratori – da Peter Landesman a Robert Draper, da Bruce Porter a Philip Weiss e James Ellroy -vivono e amano indugiarvi, poiché del male si sono fatti una ragione, fino a considerarlo un’ineluttabile causa di questo sporco mondo.

Roberto Barzi

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