Questa volta il coltello non è una semplice arma o uno strumento per un delitto.
Il coltello è la penna di Marinella Giuni che squarcia quel velo che separa il pubblico da quel che va celandosi dietro un portone.
Ed il portone, spesso, è quello di una struttura di detenzione.
E la ciarla da bar sul mondo della giustizia, su quel processo, su quella rapina nella farmacia del paesello si arresta, di deve arrestare dinanzi alla narrazione di un dopo sconosciuto ai più, al pubblico abituato ai titoli strillati sulle prima pagine del quotidiano locale, che ben poco dicono di come quel dopo incida, come un pugnale, sulla pelle viva di chi ha commesso quell’errore che ha fatto cambiare la propria vita con le parole diuna sentenza.
Ma non è un libro di soli crimini, questo, perché la narrazione talvolta si sofferma sui particolari, sugli sfumati dettagli dei gesti, delle parole, delle manie di chi si muove tra le mura dei palazzi di giustizia, con l’anima spesso stropicciata come una camicia in quei giorni estivi trascorsi in uffici senza aria condizionata.
È l’apparato umano nella sua completezza che torna agli occhi del lettore, rigurgitando quella piena umanità che spesso contrasta con l’austera severità del cemento dei palazzi di giustizia.
Un’austera severità che trova la giusta delicatezza nelle illustrazioni di Elena Agata Scardilla, dipinte con il tenue disincanto che solo gli occhi di una bambina può avere.
So perchè sono qui – Marinella Giuni
Giuseppe Calogiuri