Intervista a marcello simoni




Intervista a marcello simoni

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download (2)Ho approfittato del viaggio fatto assieme sul Frecciarossa  e  del  nostro successivo  bell’appuntamento del 22 giugno, a Salerno Letteratura  2015, per fare una lunga chiacchierata con Marcello Simoni sul suo nuovo romanzo  e  mettere a punto un po’ di domande.  Eccole.

Dopo L’abbazia dei cento peccati è approdato in libreria l’atteso secondo episodio della Saga  di Pomposa, mi pare giusto chiamarla così, che s’intitola: L’abbazia dei cento delitti. L’intreccio riparte ad arte dal 24 aprile 1347, dall’uccisione del monaco Facio, unico detentore del segreto del Codex Millenarium legato al Lapis exilii, dall’esecuzione del padre di Gualtiero de’ Bruni (e scopriamo che suo padre non è) e dalla scomparsa di Sapia sua madre. La storia entra nel fulcro e si precisa, ma soprattutto Ferrara diventa lo scenario principale. E il suo marchese, Obizzo III, un coprotagonista di livello. Perché?
Ho sempre amato le storie di ampio scenario in cui le città e le grandi famiglie dominanti assurgono da semplice “sostrato narrativo” a veri e propri coprotagonisti. E diciamolo pure, Obizzo III d’Este ha tutte le carte in regola per lasciare un segno in questa vicenda. Ombroso, imprevedibile, sanguigno. È l’unico dei discendenti di Aldobrandino d’Este sopravvissuto a un periodo durissimo di guerre e di processi per eresia (gli Estensi furono accusati di parteggiare per l’imperatore Ludovico il Bavaro, colpito dalla “maledizione eterna” del papa). Ma a colpirli più di tutto, indubbiamente, è stato il suo rapporto controverso (o almeno così ho creduto di intendere) con la sua compagna e amante, Lippa Ariosti.

E lo resterà fino alla fine o hai in vista altre sorprese?
Se non avessi in vista altre sorprese sarebbe meglio per me cambiare mestiere.

Quanto peso hanno e avranno nel proseguire della tua saga padre Andrea e la sua Abbazia?
Un peso determinante. L’abbazia di Pomposa è e resterà l’anima di questa saga. Ancora oggi, se sono a corto di idee, mi reco tra le sue mura in cerca di ispirazione.

Straordinaria ricostruzione di una Ferrara medievale e di Reims. A tuo vedere c’erano sostanziali differenze tra le due città?
Ferrara e Reims sono i due universi paralleli in cui si divide il flusso della storia (con qualche intermezzo dedicato ad Avignone), ma non è tanto alla diversità oggettiva che dobbiamo far caso quanto alla prospettiva da cui ho offerto scorci di queste città. La prima, Ferrara, è teatro di intrighi e delitti. Reims invece è la sede del convento femminile di Sainte-Balsamie, al cui interno la splendida suor Eudeline vive il suo dramma.

I tuoi personaggi si precisano, si concretizzano tutti e si umanizzano (nel bene e nel male) direi. Francamente quali preferisci tra loro? Ti lascio due scelte.
Gualtiero de’ Bruni, per la sua genialità. Aleydis, per la sua doppiezza.

E comunque ti piace più scrivere di buoni o di cattivi?
Scrivo di delitti. Ovvio che mi piacciano i cattivi.

Stavolta i personaggi femminili sempre un po’ un passo indietro, forse a parte Isabeau, intrigante, capricciosa e volitiva, si fanno largo. A chi ti sei ispirato, se hai avuto un modello vero, tra le grandissime badesse francesi per il bel personaggio di Eudeline?
Ho semplicemente pensato a un tipo di donna che avrebbe saputo conquistarmi anche se nascosta nella penombra del claustro. Naturalmente le figure di Ildegarda di Bingen e di Eloisa d’Argenteuil mi hanno indirizzato verso stereotipi che reputo abbastanza consolidati nella forma mentis medievale. Non ho però resistito a conferire alle mie eroine anche un tocco di noir, a mio avviso capace di renderle più profonde e intriganti.

Il cavaliere nero, celato da una pesante corazza di verghe di ferro bresciano, finora solo una temibile presenza sinistra, quanto peserà nel contesto del futuro narrare? E il suo Arabo, pericoloso ma anche compassionevole?
Sono elementi peculiari della “storia orizzontale” della saga, quindi, per sapere tutto di questi due terribili personaggi, dovrete aspettare fino all’ultima pagina.

Quanto ha contato la peste del 1348, apocalittico scenario di sofferenza e di orrore, per la tua storia e quanto ha contato per “tutto” il mondo di allora?
Questo romanzo ha rappresentato, tra le altre cose, l’imperdibile occasione di poter tratteggiare il profilo di una città colpita dal soffio pestifero (come si diceva all’epoca). Era da molto che desideravo farlo, ma fino a oggi me ne è mancata l’occasione. Del resto, chi mi conosce sa che di inferni (letterari) me ne intendo e che non mi faccio pregare per descriverli. I viaggi nell’oscurità mi affascinano, anche e soprattutto perché non si sa mai quali imprevisti possano emergere dalle tenebre. E del resto, non stiamo parlando solo di fiction. Il mio approccio alla grande peste del 1348 è stato “filologico” e preciso come il taglio di un bisturi. Volevo far vedere Morte, l’ossessione più grande del XIV secolo. Spero di esserci riuscito.


Bertrand de Pouget ha avuto molto di quanto desiderava, ma troverà pane per i suoi denti immagino. Puoi anticiparci chi sarà il vero bastone tra le ruote per il cardinale avignonese?
Un certo cavaliere Maynard de Rocheblanche, che tanto avrebbe da insegnarci sul coraggio.

La grande storia è già entrata  di prepotenza nella trama. Tornerà ancora nel prossimo Abbazia? Che si chiamerà?…
Dopo i “peccati” e i “delitti”, sarà la volta degli “inganni”.

Quale sarà il futuro di Gualtiero de’ Bruni? Nelle armi o nell’arte?
Chi può dirlo? Grandi pittori come Vitale da Bologna furono sia soldati che artisti.

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