Immersi nel rituale sinistro di un funerale sono gli ingranaggi di un inganno teso dall’estate del 1898 fino a un accenno al primo conflitto mondiale come cornice dello scioglimento di tutti gli equivoci. Robert Younghusband, autore di feuilleton in giallo, decide di lasciare Londra per trasferirsi con la famiglia a Croydon, cittadina di provincia che ruota attorno a un unico giornale, il «Croydon Gazette», e a dei tipi fissi – tra cui, un reverendo spilungone e un oste col vizio di sparlare – utili a rafforzare il sentore di quella che assomiglia da subito a un truffa, ma coi connotati giustamente garbati e lievi dell’immaginario britannico di fine Ottocento.
Younghusband sa di attirarsi presto le inimicizie degli abitanti sospettosi, da subito vengono equivocati i contenuti di alcune lettere e l’infelicità della moglie come delle figlie non sembra esaurirsi, ma piuttosto scontrarsi con le dicerie. L’unico rimedio alla catastrofe sarebbe forse l’annuncio pubblicato sul «Croydon Gazette»: William Cardigon, detto “il decisionista”, ossia esperto in decisioni difficili, ma di fatto dal passato personale e finanziario più volte fallimentare, incarna la soluzione più prossima alle intolleranze della provincia. Sotto la nuova identità del cugino Daniel Younghusband, Cardigon è presto in balìa dell’ossessione di una cospicua eredità pendente sul capo di Robert e dai suoi strani legami con una certa Libera Confraternita dei Perfetti, all’apparenza in soccorso degli indebitati col gioco. Alla loro morsa si aggiunge la presenza intrigante e spinosa di Emily Ward, cognata di Robert.
Se dunque il primo affare dovrebbe essere di evitare una condanna a morte al finto cugino, di fatto, per il nuovo Daniel il piatto si fa sempre più ricco man mano che la sete di denaro e i coinvolgimenti della Confraternita finiscono in una combutta a due con Emily. Il caso di una morte sospetta e di una forte somma lasciata irragionevolmente aprono poi a un secondo sipario dove il ruolo della vittima poco si addice a Robert, genio onnisciente di una trama nota dai tempi del funerale triste dello zio sir Toft e della nebbia che non smette di insinuarsi in bocca proprio come le scommesse tra padri e giocatori incalliti.
Ed è su questa scia rapida di scene effervescenti, colpi di teatro, dialoghi d’ironia concitata e figure emerse da una tradizione alla Conan Doyle, rivisitata secondo l’intreccio più contemporaneo e vagamente tormentato dei punti di vista, che l’autore muove con sicurezza verso le soluzioni di un intrico scandito da un tenace spunto narrativo a scatole cinesi. Altrettanto coerente lo stile d’antan presente sia nei quadri d’ambiente, sia nel sapore complessivo di un esordio che, se intendesse inseguire una chiave odierna, forse richiederebbe più coraggio nella proiezione dei non detti e nella sfida all’integrità morale dei personaggi, ai loro cedimenti intesi come leva ulteriore per l’immedesimazione. D’altro canto, invocherebbe più dettagli, linguaggi e peculiarità d’epoca se prediligesse l’appartenenza al genere cui si ispira e che detta le regole del gioco dall’inizio alla fine.