Salerno è una città meravigliosa, che amo profondamente e che oltre la linea del lungomare e delle spiagge nasconde, nei quartieri vecchi, un glorioso passato. Il duomo normanno e il castello del principe longobardo Arechi lo testimoniano, ma per chi sa guardare nei vicoli della città vecchia, quel passato è ancora presente.
Il romanzo di Carmine Mari, oltre che un giallo dalle vicende intricate, è anche un viaggio tra quei vicoli, dove le antiche pietre profumano ancora di giorni lontani.
Una storia ambientata a Salerno, però, non potrebbe che partire dal suo mare. È la Primavera del 1551 e durante un pattugliamento nel golfo, il Nibbio, la nave del capitano Héctor dell’Estremadura al servizio del principe di Sanseverino, il feudatario del salernitano, è attaccato da un piccolo brigantino francese che viene mandato a picco con tutto il suo equipaggio e il suo carico. A salvarsi è il solo capitano che porta con sé un plico cerato. Nell’acqua galleggia anche il corpo di una bambina, così Hector coltiva l’atroce sospetto che il brigantino traffichi anche in merce umana. Sospetto confermato dal magistrato locale, lo stratigoto Marcantonio Villano, al quale il capitano consegna il plico cerato: «Questi maledetti continuano a saccheggiare i nostri villaggi. Razziano donne e bambini per i loro fetidi bordelli.» Non solo: in città esiste un postribolo che vende soprattutto bambine: Petalo di viola si chiama, è proprio qui dietro.
Il principe Sanseverino, però, è alleato dei Francesi, in contrasto con le politiche filo spagnole del viceré di Napoli e non è possibile indagare oltre. Ma, mentre Héctor è a Palazzo per conferire con donna Isabella, la moglie del feudatario, il prigioniero viene ucciso nella torretta dove è segregato e i documenti chiusi nella busta cerata scompaiono. Come se non bastasse, lo stesso magistrato viene ucciso.
Dell’omicidio è accusato un mercante toscano, Angelo Rustici, proprietario del fondaco della lana e della gualchiera di Acquamela, debitore insolvente già denunciato al magistrato. Héctor, però, non crede alla sua colpevolezza e inizia a indagare. A Salerno, in quei giorni, stanno succedendo troppe cose strane.
Costanza Calenda, la speziale del luogo, ha rinvenuto nel giardino vicino al suo lo scheletro di una bambina, accanto al quale c’è la bambola di porcellana che aveva smarrito dieci anni prima. Portato nella chiesa parrocchiale, lo scheletro è stato rubato. Non solo, quando è stato ucciso, lo stratigoto stava controllando i documenti relativi a una bambina, Minerva, scomparsa da dieci anni.
Héctor si convince sempre di più che Angelo Rustici è innocente. L’omicidio dello stratigoto ha ragioni molto più profonde, le cui radici affondano nel passato: il capitano aveva avuto modo di riflettere, dedicandosi alla lettura sommaria delle carte lasciate sulla scrivania, sperando di trovare qualcosa che lo collegasse al foglietto scritto di pugno da Marcantonio; lo scheletro, la sua inspiegabile sparizione dalla chiesa e quel nome: Miriam.
Inizia così a indagare sul Petalo viola, il bordello che vende bambine, perché è certo che il piccolo scheletro rinvenuto da Costanza sia quello di una piccola abusata e poi gettata via, come spesso accade alle bimbe vendute nei lupanari.
Con l’aiuto della speziale, il capitano riuscirà a mettere in salvo una bambina che gli ha salvato la vita e ad arrestare i colpevoli, perché rendere giustizia agli innocenti è l’unico modo che ha per riparare ai crimini che la sua attività di guerriero lo ha costretto a commettere in passato.
Un bel romanzo dai risvolti complessi e dalla splendida ambientazione. Un viaggio nella Salerno cinquecentesca che non si può perdere.