Chi è abituato ad avere a che fare con Barbara Baraldi giallista, e tanto apprezza i suoi romanzi, sarà rimasto un pochino spiazzato dalla sua ultima pubblicazione. Giunti ha dato infatti alle stampe, nel marzo 2023, la vita della grande rocker Janis Joplin, un biopic in linea con la moda del momento.
Prima di leggere il libro, avrei detto questo. Poi però, ho iniziato una storia delicata e potente al tempo stesso, struggente come poche, e ho pensato che deve volerci tanta perizia a rendere così bene l’esistenza di una persona. Ci si deve riconoscere come anime affini, al di là di quel che cerca la gente o che attrae la curiosità. Un’urgenza che va oltre il pensiero delle vendite.
Tutti noi conosciamo Janis Joplin come la cantautrice statunitense dalla voce potente, non bellissima, con una matassa di capelli ribelli e i vestiti strani. La droga, le liti coi colleghi, il turpiloquio, sono leggenda. E la maledizione che riguarda il cosiddetto Club 27, perché anche lei è morta a quell’età. Quel che non sapevamo però era di quel suo tormento interiore per non essere mai abbastanza, e quel bisogno d’amore che ricercava di continuo, come fosse aria da respirare. Il suo sentirsi viva soltanto sul palco, quando cantava. Senza la sua musica, Janis era già morta, disinteressata a tutto il resto.
La ragazza bruttina di Port Arthur, bullizzata a scuola e incompresa dai suoi genitori, durante i concerti si trasformava in una tigre. Una “gemella” formidabile e sicura di sé, che non teme più niente. “Forse non è un’aliena a prendere il suo posto, ma una parte di lei che si nutre solo della luce dei riflettori e dell’interesse mediatico.”
Janis sognava di andarsene da Port Arthur e diventare una grande star, per riscattarsi da chi l’aveva messa all’angolo. Barbara Baraldi però ci farà scoprire che Janis Joplin avrebbe potuto fuggire ovunque e non sarebbe servito. Perché i fantasmi che portava con sé erano troppo ingombranti, così come quella vocina che di continuo le diceva che avrebbe fallito, e che lei non contava niente, a prescindere dai successi ottenuti.
Belle le parti che parlano di una Janis Joplin insieme ai grandi del periodo. Del suo rapporto fraterno con Jimi Hendrix, della sua antipatia per Jim Morrison (Morrison non ne esce bene, a proposito), del rapporto con Leonard Cohen. La sua bisessualità portata a galla dal desiderio devastante per Peggy Caserta. Ma è con le persone comuni che Janis ha vissuto i legami più belli, ultimo quello con David Niehaus, conosciuto durante una vacanza in Brasile. Qui Barbara Baraldi ci fa sognare e per un attimo pensare che la Joplin potesse avere avuto pace. Un uomo da amare e che la ricambiava; quel matrimonio in fondo auspicato per quieto vivere, con lo steccato bianco e tutto il resto.
La storia però non può essere cambiata. Perché il 4 ottobre 1977, poco tempo dopo la morte dell’amico Jimi Hendrix, anche Janis Joplin viene trovata cadavere in una stanza d’albergo di Los Angeles. Overdose, una partita d’eroina sbagliata, anche qui ci sono varie teorie. Era sola, l’unica certezza. Janis aveva raggiunto la fama, guadagnava molti soldi, aveva cantato con e per i più grandi personaggi dell’epoca, eppure era sempre lì a dirsi che non aveva fatto niente di speciale e che sarebbe morta senza avere raggiunto la consacrazione. Cosa vuoi di più, Janis? Viene da chiedersi, durante la lettura. Mettici del tuo, perché ti poni male. Sei odiosa, come fanno ad amarti?
Il miracolo che ha fatto Barbara Baraldi è avere reso umana e fruibile Janis Joplin all’uomo comune. Adesso la possiamo capire e indentificarci. Persino quell’insicurezza petulante e a tratti ripetitiva, fastidiosa, fa parte dell’ottimo lavoro svolto dall’autrice. Il presentimento che ciascuno di noi ha di non essere attraente, oppure che la società ci compatisca. Di essere un peso.
Il racconto più noir della Baraldi, lo ha definito la critica. Sono d’accordo. Credo che in questo turbine di stati d’animo, lei abbia superato se stessa.