Prefazione di Massimo Carlotto
Ci dev’essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è.
La regola n.7 del manuale del giallo di SS Van Dine parla chiaro: i romanzi gialli sono strettamente legati al tema della morte. Da sempre l’uomo ne ha avuto paura, ma cos’è cambiato nel modo di raccontarla nel corso dei secoli?
Ernest Mandel ci ha regalato un saggio di storia sociale della letteratura, che è una mappa utilissima per affrontare un viaggio lungo l’evoluzione di un genere letterario tra i più amati e letti al mondo. La bussola e la clessidra con i quali Mandel affronta questo viaggio sono gli strumenti indicati dall’analisi socio-economica (da storico dell’economia di scuola marxista), che non può prescindere dall’analisi di una classe sociale ormai egemonica come la borghesia. L’evoluzione stessa del romanzo poliziesco segue quella della borghesia.
D’altronde, le narrazioni si trasformano sempre con il trasformarsi della società e la narrazione della morte non fa differenza.
Se anticamente c’era per la morte un rispetto molto più mistico e misterioso, con l’avvento di una società meno spirituale e più materiale, economicista e accumulatrice, tutto acquisisce un prezzo, anche la morte. Se il denaro è l’unica cosa che conta, la morte viene vista come un ostacolo da allontanare il più possibile, soprattutto se inaspettata e improvvisa, o peggio ancora violenta. Qui Mandel viene ad un punto di partenza fondamentale: se nell’età moderna la morte era uno strumento per riflettere sul fine ultimo dell’uomo, nella società capitalistica la morte viene vista come una rottura dell’ordine stabilito dalla legge e dal naturale desiderio di successo, pertanto chi la provoca deve essere perseguitato.
L’autore belga si sofferma attentamente sui vari passaggi che hanno portato alla nascita del genere poliziesco, partendo dalla figura del ladro-gentiluomo dei romanzi picareschi di metà ‘800, simbolo dell’individuo declassato che lotta contro i privilegi di una casta, spesso aiutando i poveracci. Quando ad inizio ‘900 nasce la società di massa e la borghesia diventa la classe produttrice dominante, anche la criminalità diventa di massa e si sposta dalla campagna alla città. Tutti hanno paura, a partire dai borghesi che temono di perdere il loro posto privilegiato in società. I romanzi polizieschi delle origini riflettono questa paura, sono lo specchio nel quale la borghesia riflette la propria necessità di staccarsi da una classe sociale inferiore, economicamente e moralmente, manifestando tutta la propria superiorità. Non è un caso che tra i poliziotti dei padri del giallo ci fosse così tanta approssimazione investigativa, tanta inettitudine al limite del parossismo: gli sbirri di inizio ‘900 provenivano dagli strati più bassi della società, come poteva la borghesia aver simpatia per questi parvenu all’interno della macchina dello Stato? Meglio incarnare la propria superiorità di classe nella figura del geniale investigatore privato, nell’uomo che si è fatto da sé, come Sherlock Holmes, e che magari è passato anche dal fronte della Grande guerra, come Hercule Poirot.
Poi arrivano gli anni ’20, la borghesia domina non solo economicamente, ma anche moralmente: la proprietà privata è intoccabile, così come la libera iniziativa economica e l’ascesa sociale, guai a chi si intromette! Per questo, soprattutto nei capolavori della Christie, le scene del crimine si trovano in lussuose case di città o in amene ville di campagna, e vedono interessati grandi capitani di industria, rispettabili uomini di affari, mariti e mogli devoti ad un malcelato perbenismo borghese. È la tipica vita borghese ad essere messa in scena, con tutti i suoi mantra e i suoi difetti: la gelosia coniugale, i tradimenti inconfessabili, la figliolanza illegittima, i patrimoni occulti e i testamenti milionari.
Questo periodo, però, riflette anche la forte crisi nata dalla disillusione della Bell’Epoque, che ha portato agli orrori della Grande guerra. La morale e la cultura della classe dominante hanno portato alla luce tutte le ombre di cui si popolano gli incubi della borghesia, per cui gli autori classici del genere, che pur appartengono a quella classe, non riescono a fare meno di mostrare un quadro tutt’altro che lusinghiero della propria appartenenza. La borghesia al potere ha portato l’ordine, il progresso e il successo in cima ai pensieri della collettività, e allo stesso tempo vive nella preoccupazione che la società possa ripiombare nel disordine, nell’espropriazione e nella lotta di classe. Tutto ciò è inammissibile e ritorna come da copione in tutti i romanzi polizieschi: l’ordine deve essere ristabilito, la legge deve trionfare e i portatori di disordine morale, economico e sociale devono essere riconsegnati alla giustizia, (regola n. 3 di Van Dine).
Le contraddizioni della borghesia al potere hanno portato l’intero Occidente a guardare in faccia l’incubo dei totalitarismi, delle crisi economiche e del secondo conflitto mondiale. In che modo? Mandel spiega chiaramente come un punto di svolta vada individuato nello spostamento dell’asse produttivo del capitalismo dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, due stati dall’approccio materialistico e protestante alla vita, ma con una forte differenza: in Gran Bretagna la borghesia ha dovuto farsi strada nel secolare predominio della classe aristocratica, negli USA il capitale ha trovato la pappa già pronta. Lontano da ogni senso del limite, il capitalismo statunitense ha portato il mondo al collasso nel ’29, dopo aver compiuto la più grande trasformazione sociale degli ultimi decenni: ha reso la criminalità organizzata da fenomeno di quartiere a vera e propria multinazionale del crimine, consociata al potere economico e politico a stelle e strisce. Afferma Mandel: “La corruzione sociale, soprattutto fra i ricchi, accompagnata dalla brutalità, diveniva il centro dell’intreccio, riflettendo insieme il cambiamento dei valori borghesi suscitato dalla Prima guerra mondiale e l’impatto del gangsterismo organizzato”.
Nei nuovi romanzi dall’impronta poliziesca non c’è più spazio per il poliziotto cialtrone e per il genio dell’investigazione, ma c’è bisogno di investigatori dinamici, duri e ostinati, pronti a sporcarsi le scarpe. Braccare i criminali diventa un mestiere che dà da vivere, anche se in maniera modesta. Se la fotografia e la ferrovia hanno caratterizzato la società della Bell’Epoque e i romanzi polizieschi classici, negli anni ‘30 e ’40 sono l’automobile e il cinema a dare nuovo impulso alla collettiva e alle strutture letterarie. Non più la statica e razionale investigazione nei bei salotti borghesi, ma la veloce e concitata caccia al criminale nelle strade più sporche della città.
E il giallo si sporca di nero. Ad Agatha Christie, Rex Stout e SS Van Dine seguono George Simenon, Graham Green e Raymond Chandler. La disillusione della borghesia prende il sopravvento, l’analisi delle motivazioni più profonde ed esistenziali che conducono l’uomo al crimine diventa più importante del vecchio whodunit, “chi l’ha fatto”?
La bellezza del testo di Mandel, però, va oltre la precisa e affascinante ricostruzione socio-economica che ha portato all’evoluzione dei polizieschi, in un quadro che, partendo dal successo del periodo classico, sfocia nel noir e nei thriller cult della guerra fredda. L’interrogativo più interessante, che tutti gli amanti del genere si pongono inconsciamente, riguarda le motivazioni profonde di questo secolare successo editoriale.
Partendo sempre dalla consapevolezza marxista per cui non esiste nessun valore di mercato a prescindere dal valore d’uso, una risposta può essere data dal naturale bisogno di dar sfogo alle pulsioni più intime e latenti, spesso distruttive, che albergano in ognuno di noi. “Leggere storie di violenza è un modo (innocente) di essere testimone e di goderne, sebbene forse con un senso di vergogna e di colpa”, precisa l’autore. “È meglio, in effetti, leggere una descrizione di un omicidio piuttosto che commetterlo”. E la società di massa ha portato inevitabilmente ad allargare la platea delle persone che possono godere di questo piacere, restando comodamente seduti sulle proprie poltrone. La crescente alfabetizzazione e la scolarizzazione di massa danno prova del grado di civilizzazione di una società, ma l’aver portato una vasta quantità di lettori a leggere questo tipo di storie “esprime anche la natura parziale, contraddittoria e autodistruttiva” della società stessa.
La convinzione di Mandel è che la società borghese sia allo stesso tempo “civilizzazione e ribellione contro la civilizzazione, civilizzazione cosciente e civilizzazione non assimilata, o assimilata solo in parte”. Da una parte abbiamo il desiderio di ordine, garantito dalle libertà individuali contro i privilegi di pochi, la società del diritto portata in auge dalla borghesia parigina del XVIII secolo; dall’altra parte abbiamo una struttura societaria che si regge sul libero mercato, sul predominio culturale ed economico dell’Occidente sui paesi asiatici e africani, che ha portato alle violenze dell’imperialismo, prima, e agli orrori raziali della seconda guerra mondiale, poi.
L’intera storia del XX secolo è stata modellata dalle contraddizioni interne alla borghesia e dai conflitti irrisolti che ancora si trascina dietro. E forse il romanzo poliziesco rappresenta proprio questo: la letteratura che mette sul palcoscenico uno dei contenuti chiave con il quale capire il nostro posto nel mondo, ovvero il conflitto sociale. Non si può comprendere il successo della letteratura a sfondo criminale, se la si considera solo una semplice valvola di sfogo delle pulsioni più nascoste o, peggio ancora, come pura lettura di intrattenimento. La letteratura di genere si sta avvicinando sempre di più alla letteratura di contenuti, perché non può prescindere dalla riflessione sul posto che l’uomo occupa nella società, nella famiglia, e nelle strutture economiche e politiche che lo circondano.