Il segreto – Un racconto del workshop NebbiaGialla 2012

Incipit: Il caffè dell’Angiolina
Racconto di Maria Luisa Bosi e Bianca della Torre

Il caffè della signora Angiolina era davvero buono. Aveva un retrogusto indefinibile, come di nocciola. O di mandorla.
Glielo disse.
“Ma lo sa che il suo caffè è proprio particolare, Angiolina?”
“Eh sì, caro. Lo so, “ rispose lei, sorridendo, civettuola. “Però, anche se siamo vicini di casa da tanti anni non le posso dire che cosa ci metto dentro. E’ un segreto.”
“Eh, allora vuol dire che verrò sempre a berlo qui da lei…” disse lui sollevando la tazzina per fare cin cin col dito mignolo arricciato.
Stava quasi per congedarsi quando ricordò il motivo della visita.
“Signora Angiolina, ero venuto a dirle che ieri sera sono sceso in cantina per prendere una bottiglia di vino e mentre ero giù, ho sentito un rumore…”
“Rumore? Che genere di rumore?” Angiolina pronunciò le parole con un sorriso algido e lo sguardo assente.
L’espressione non stupì Mario che conosceva bene la sua vicina, perfino meglio di quanto desse a intendere, anche se ogni tanto sentiva che gli nascondeva qualcosa. Un segreto, che in tanti anni di frequentazione lei non aveva mai lasciato trapelare.
Mai una parola fuori luogo gli aveva aperto uno spiraglio sulla vera natura di Angiolina. Mario esercitava ancora la sua professione di psichiatra quando lei e il marito, appena sposati, erano venuti a occupare un appartamento nello stesso stabile. Una coppia non giovanissima, non bene assortita. Lui, Piergiorgio, rampollo di una famiglia brianzola non più danarosa, aveva trovato nel matrimonio la sicurezza economica che cercava. Quanto ad Angiolina, rimasta orfana a otto anni, si era sposata più per convenienza che per convinzione, perché la sua tutrice, una lontana parente, come clausola testamentaria per entrare in possesso dell’eredità, le aveva imposto il matrimonio.
Mario ricordava ancora i loro volti di giovani sposi. Erano due tipi diversi. Molto diversi. Lei impeccabile, fredda e distante; lui molto preso dalla vita sociale che ruotava attorno al club di Polo a Monza e al circolo velico a Como.
Gli occhi di Mario la fissarono in silenzio con uno sguardo perplesso e indagatore e in quel momento Angiolina intuì che lui sapeva.
Gli versò una seconda tazza di caffè.
“Rumore?” chiese nuovamente mentre lui beveva d’un sorso.
Mario le confidò di aver trovato diverse cose fuori posto nella propria cantina. Aggiunse che sospettava, anzi ne era certo, che qualcuno avesse invaso il suo spazio.
“Ma, perché? Per quale motivo? A che scopo?” chiese manifestando il desiderio che lei lo aiutasse a risolvere il mistero.
Angiolina allora cominciò a parlare. Rievocò la sua vita passata, la sofferenza per la perdita prematura dell’affetto materno. Un’assenza così dolorosa da portarla a giurare a se stessa che non si sarebbe più legata intensamente a nessuno. Disse che il matrimonio, accettato passivamente, le era diventato insopportabile. Piergiorgio la soffocava, spiegò. La trascinava a feste e aperitivi mondani, obbligandola a pomeriggi di una pesantezza insostenibile.
Ma se ne era liberata, confessò. Era bastato un caffè dolce, con un retrogusto indefinibile quasi di mandorle. Quello era stato il suo alleato.
“Lo stesso caffè, Mario, che lei ha appena assaporato… E l’ingrediente principale,” spiegò, “l’ho preso proprio dalla sua cantina… Era dentro un barattolo che avevo nascosto lì tanti anni fa…”
Continuò a parlare, la signora Angelina. Anche se ormai il suo vicino non l’ascoltava più.

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