Colin Wilson – Riti notturni



Colin Wilson
Colin Wilson
Carbonio Editore
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UN DANDY NELLA SWINGING LONDON
Carbonio Editore, casa editrice di nicchia, per la terza volta dal 2017 riporta in libreria Colin Wilson (Riti notturni, pagg. 445), filosofo saggista e scrittore, oggetto di culto per grandi letterati come Philip Roth e per critici di spessore come Antonio D’Orrico.
Colin Wilson fu uno dei grandi intellettuali della seconda metà del XX secolo, autodidatta, studioso di criminologia e paranormale, esponente di diritto di quella corrente degli Angry Young Men che, sul finire degli anni Cinquanta, si schierarono in fiera opposizione all’establishment britannico e annoverarono tra gli altri i drammaturghi John Osborne e Harold Pinter.
Wilson, già pubblicato in Italia da Lerici negli anni Sessanta, quasi in contemporanea all’uscita britannica delle sue opere, viene oggi riproposto da Carbonio, per ora limitatamente ai suoi mistery. Questi non devono però trarre in inganno: si tratta, sì, di congegni dalla tensione perfettamente scandita nei quali il colore narrativo prevalente – deduttivo horror o science fiction, a seconda dei casi – è reso con suggestione piena, ma anche e soprattutto di altrettanti manifesti della ricerca esistenziale dell’autore.
È il caso in particolare di Riti Notturni, scritto da Wilson quasi in contemporanea al suo fondamentale saggio The Outsider e pubblicato per la prima volta nel 1960.
Outsider per l’autore è chi si distingue dalla massa per un livello superiore di percezione, grazie al quale si accorge di non vivere pienamente la vita, che dovrebbe invece essere sperimentata “venti volte più intensamente di quanto non facciamo” e passa perciò “l’esistenza a cercare il modo di riuscirci”.
Questa è anche la convinzione di Gerard Sorme, il protagonista di Riti notturni, un giovane disoccupato di ventisei anni, aspirante scrittore, cui una modesta rendita consente d vivere senza lavorare, seppure in squallide stanze ammobiliate e contando gli spiccioli per il riscaldamento e le visite ai pub. Più che vivere però, Gerard Sorme pensa. La realtà infatti gli suscita soprattutto noia o risentimento, alla costante ricerca di un senso esistenziale che a volte gli pare di poter afferrare, seppure per brevi istanti.
Come gli accade con Austin Nunne, raffinato omosessuale nei confronti del quale sente scattare una sorta di fascinazione-repulsione intellettuale, durante un casuale incontro alla mostra londinese dedicata a Sergej Djagilev, il celebre impresario dei balletti russi artefice del lancio del grande Nijinsky, idolo guarda caso di Sorme.
Per Gerard è solo il primo di una serie di incontri rivelatori: con Oliver Glasp, un pittore tacciato di follia, che raggiunge vette sublimi solo nel ritrarre una bambina di dodici anni; con Larry Carruthers, prete cattolico che sa vedere oltre tabù e dogmi; con Franz Stein, psichiatra e medico legale, il cui legalismo di oggi pare cozzare contro un passato da fervente nazista; con l’affascinante Gertrude Quincey, zia di Nunne, il cui ossequio alla Bibbia sembra impedirle di vivere; con Caroline Denbigh, attrice ventenne affamata di esperienze, con la quale il sesso è facile e spontaneo, ma forse troppo.
Sulle note di una musica che somiglia più ai Rolling Stones che ai Beatles, in una Swinging London in cui l’alcol scorre a fiumi e tutto sembra permesso, soprattutto l’accesso ai locali più esclusivi garantito dai soldi di Nunne, Gerard prosegue il suo percorso verso l’autoconsapevolezza, ben presto incrociando una lunga scia di delitti efferati che sembrano ripercorrere le orme di Jack Lo Squartatore a Whitechapel.
Per paradosso, sarà proprio la caccia all’assassino seriale e la comprensione delle sue irrefrenabili pulsioni di morte a portare Gerard sulla soglia della tanto agognata illuminazione.
Scritto in stile piano ma non per questo meno evocativo, Riti notturni mette in scena personaggi di straordinaria caratura, sullo sfondo di una Londra evocata con sobri colori di artista ma con atmosfere precise e coinvolgenti. Cito tra gli altri l’appartamento di Kensington di Austin Nunne, tra dipinti magnetici, brani musicali avvolgenti, liquori esclusivi, bui cromatismi che evocano i fantasmi di Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio.
Ma è nell’utilizzo del dialogo – di Sorme con Nunne, Glasp, Carruthers, Stein, ecc – che Wilson eccelle e vi fa ricorso come strumento di ricerca introspettiva del suo protagonista e progressiva messa a fuoco del suo pensiero, allo stesso modo in cui i grandi pensatori lo hanno utilizzato nei secoli: da Socrate e Platone a Cicerone, Agostino, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Tommaso Campanella, Denis Diderot,
In Outsider ma anche nella trilogia dei romanzi dedicati a Gerard Sorme (Riti notturni, Il diario sessuale di Gerard Sorme e  The God of the Labyrinth, ) Wilson restituisce un affresco veritiero e inquietante della Swinging London, bohémienne ed esistenzialista, densa di fermenti culturali e trasgressiva, ma soprattutto identifica nello spettro dell’alienazione sociale il catalizzatore della ribellione creativa contro la gabbia del conformismo borghese.
Gli outsider come Sorme, Nunne, Glasp, si collocano a mezza via tra gli uomini comuni e gli eletti, potremmo quasi dire gli dei. Il loro inconsueto acume li porta a comprendere, a differenza della massa inerte, che la vita non è ciò che appare e a questa consapevolezza pagano il prezzo esorbitante della dannazione a un’eterna ricerca, a un conflitto permanente tra il disgusto per ciò che sono e la frustrazione per non essere ciò che vorrebbero. Se non pervengono al raggiungimento dell’elevazione, il disgusto per loro stessi si traduce in crudeltà, dunque come si può sapere che l’assassino di Riti notturni “non abbia raggiunto un tale grado di noia, di disprezzo per se stesso e infelicità che gli rendano quasi impossibile non uccidere? A quel punto l’omicidio diventa un bisogno prepotente, un mezzo per riguadagnare la sua libertà… […] Una sorta di rifiuto della realtà ordinaria. Un deliberato allontanamento dalla logica della realtà ordinaria”.
Un’interpretazione inquietante quella di Wilson, aderente per certi aspetti al pensiero di quel grande poeta maledetto che è stato Baudelaire, per il quale “Tutto, in questo mondo, trasuda crimine”. Inquietante, sì, eppure pregna di un vitalismo ammaliatore.
Una lettura rimarchevole che mi fa attendere con impazienza la pubblicazione dei prossimi due capitoli della saga di Gerard Sorme.

 

Giusy Giulianini

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