Nelle terre più lontane della Lapponia, la famiglia di Pentti e Siri, composta da 12 figli, si riunisce con la maggior parte dei suoi componenti durante le feste natalizie, per un incidente capitato a un fratello piccolo e soprattutto per un’importante decisione che la madre dovrà prendere. Tra i figli, c’è chi ha cercato di costruirsi una nuova vita a Stoccolma, chi sogna la Danimarca, chi vorrebbe invece ereditare la fattoria dei genitori, chi soffre in un matrimonio ‘difficile’ e con una malattia invalidante che pende sul capo. A un tratto, preparata da tanti piccoli segnali, la tragedia esploderà, trascinando con sé frammenti di esistenze spezzate…
Nina Waha, un tempo attrice e ora autrice, costruisce in questo romanzo un complesso microcosmo familiare, portando a conoscenza del lettore la storia personale di ognuno dei componenti di questa famiglia, dominata e angariata da un padre-padrone che confonde religione, ipocrisia e crudeltà.
Quello che colpisce leggendo le pagine di Il testamento, ambientato nella Finlandia degli anni ’80, è il contesto in cui i personaggi si muovono, il contrasto tra la solitudine dei grandi spazi della valle di Tornio, di una terra che richiede fatica e sofferenza per produrre scarsi frutti, e la vita della Scandinavia patinata, quella dell’immaginario turistico: la vivace e ricca Stoccolma, con il glamour di una ricchezza a cui i protagonisti agognano, per uscire dalla propria miseria, morale e materiale. È curioso che Rovaniemi, oggi frequentata meta turistica nota come la patria di Babbo Natale, sia qui descritta come una città grigia, con casermoni dove vivono gli ex contadini ormai anziani, in preda dell’apatia e dell’alcol. L’alcolismo, la piaga che segna le esistenze di gran parte dei personaggi, trova un’evidente ragione nel freddo, anche esistenziale, di luoghi in cui imperano la solitudine, la mancanza di confort, le difficoltà di un’esistenza quasi ottocentesca, in cui la religione diventa cemento per compattare una comunità, pur rivelando la sua ipocrisia nella vicenda della pederastia dello zio, devotissimo, o di Pentti, per il quale è un pretesto che giustifica la sua crudeltà.
Il libro della Waha ci racconta molto di una società che il nostro immaginario spesso idealizza, ma che reca con sé germi di un dolore esistenziale il quale, come accade nel libro, rimanda al pathos delle tragedie di Eschilo.
Traduzione a cura di Stefania Forlani