Gli anni passano, le carni si indeboliscono, la vista si riduce ma la volontà e la spinta creativa sono quella forza intellettuale che nasce dalla maturità, e regala quella capacità di arrivare a sostenere ciò che si ritiene giusto con un entusiastico slancio che si vorrebbe anche trasmettere alle generazioni a venire. Roma, autunno 1542. I protagonisti in odore di eresia: Michelangelo ha 67 anni, Vittoria Colonna, la celebre marchesa di Pescara, vedova del grande Ferante d’Avalos ne ha 52, il cardinale Reginald Pole, definito giovane, 42, un ragazzo ai nostri giorni ma per allora già uomo maturo, e il perfido loro nemico e antagonista, il cardinale Gian Pietro Carafa, al vertice dell’Inquisizione romana , Prefetto del Sant’Uffizio, ne ha 66 (nel 1554 a 78 anni riuscì a diventare il terribile Paolo IV). Presenza superiore e giudice imparziale Papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese che di anni ne ha 74. Piccola indispensabile chiosa a proposito di Pole uomo religioso ma colto. aperto e di ampie vedute. Reginald Pole era cugino, ma considerato nemico e rivale (sia perché non aveva appoggiato il divorzio, sia perché era dinasticamente troppo vicino al trono) del re d’Inghilterra, Enrico VIII che, dopo avergli fatto decapitare la madre e un fratello, tentò invano più volte di farlo assassinare. Senza successo e infatti nel 1539 Pole, in ringraziamento a Dio per lo scampato pericolo, dopo un ulteriore attentato, fece erigere una cappella, un’elegante edicola rotonda in cotto a cupola che richiama le tombe romane, lungo la via Appia all’incrocio di via della Caffarelletta vicino all’ingresso delle Tombe di San Callisto. Ma sto divagando e scusate. Torniamo al libro: solenne, inquietante, angoscioso e fatale. Parlavamo all’inizio della forza intellettuale che può scaturire dalla maturità ma in Inquisizione Michelangelo, romanzo governato invece dalla prepotenza, dall’intrigo e dal male, questa forza non sarà sufficiente. La gioventù in queste appassionate pagine di Matteo Strukul è destinata ad assumere la parte dell’agnello sacrificale e a farsi stritolare dalle bieche trame di potere che si mira a raggiungere attraverso un inaccettabile e crudele fanatico credo religioso. Dicevamo 1542 : Michelangelo è a Roma nella sua abitazione di Piazza Macel de Corvi, a 67 anni ogni tanto la fatica prende le ossa, provate da anni di duro e indefesso lavoro. La vista non è più quella di un tempo, troppo spesso il passato che l’aggredisce nel sonno, lo costringe a porsi domande che non gli piacciono, mettendolo quasi contro se stesso, ma non demorde. A Ognissanti dell’anno prima ha completato la splendida parete della Sistina fortemente voluta da Clemente VII e poi da Paolo III, prima di accettare l’incarico del pontefice di affrescare La conversione di san Paolo nella Cappella Parva (Paolina), ma ora è richiamato ai precedenti doveri: deve completare la tomba di Giulio II, opera ambiziosa ormai rinviata per quasi quarant’anni. Guidobaldo II, giovane erede dei Della Rovere, non è disposto ad accettare altre scuse e dilazioni. E Michelangelo non sa ancora che la sua fitta corrispondenza e la sua devota amicizia per Vittoria Colonna, la marchesa di Pescara non è passata inosservata, anzi si trova nel mirino dell’Inquisizione. E molto peggio, il cardinale Gian Pietro Carafa, a capo del Sant’Uffizio, ha ordinato di far pedinare l’aristocratica dama, con lo scopo di trovare qualche complotto o intento eretico negli studi della Confraternita degli Spirituali, un gruppo di alti prelati e cardinali, forse la più discussa e controversa corrente riformatrice dell’Ecclesia Viterbensis capeggiata dal cardinale Reginald Pole, che ricercava la linearità e la semplicità nei testi religiosi e propugnava il ritorno alla purezza evangelica. Indirizzo pericoloso nell’epoca di un Concilio in atto per contrastare il nascente protestantesimo e malvisto o peggio osteggiato al punto di trovare ogni modo per screditarlo da parte dell’ala più conservatrice e fanatica operante in seno alla Curia romana. La tragedia avrà inizio e fine in una città in cui la chiesa ha imboccato spesso strade difficili da supportare e la vendita delle indulgenze è all’ordine del giorno. Proprio questa Roma, divorata dal vizio e orribilmente violata dai Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma, sarà il teatro crudele e magnifico in cui si intrecceranno le drammatiche vicende di Malasorte, giovane e bella ladra incaricata di spiare gli Spirituali e di Vittorio Corsini, Capitano dei birri del Sant’Uffizio con il cammino della coltissima Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, e di Michelangelo Buonarroti, scultore pittore architetto e poeta, genio assoluto nel suo tempo. Perseguitato dai committenti, a rischio di accuse di eresia tenuto d’occhio dall’Inquisizione, il più grande interprete di tanti diversi spunti e ideali della cristianità apporterà un’ ultima definitiva variante al Mosè della tomba di Giulio II e, sulla volta della cappella Parva, coprirà il cielo azzurro di figure di Santi uomini probi e donne giuste per confessare al mondo intero di aver raggiunto la lineare purezza della vera fede. Non era argomento facile e non credo sia stato facile scriverne. Michelangelo è un gigante, un poliedrico genio sopravvissuto abbastanza da veder salire dopo Paolo III, altri tre pontefici sul trono di Pietro. Quasi un immortale. Il corrotto disfacimento di quella che in passato era una città imperiale, ormai trasformata in trasandato caravanserraglio e cava di pietre per nuove presenti e invadenti grandezze, con il rumoroso viavai per le strade e i vicoli, dove si vive e si muore per un nulla, la possanza medievale avviata alla decadenza di Viterbo, ex superba sede pontificia e il marmoreo biancore del paesaggio accecato dal marmo carrarese delle Apuane, fungono da splendido ed evocativo palcoscenico per questo romanzo duro, che non fa sconti e scava alla ricerca della verità, senza impetrare consolazione.
Inquisizione Michelangelo
Patrizia Debicke